Checco Zalone, non è un attore, ma una maschera. Che lo sia non è di per sé
un difetto. Di maschere è piena la nostra tradizione comica, anche
cinematografica. Maschera era Totò. Maschera era Alberto Sordi. Maschera era Massimo Troisi. Però tutti e tre erano anche ottimi attori. Lo erano
diventati respirando polvere di palcoscenico, come ai loro tempi si usava dire,
con orgoglio. Essendo grandi attori, sfuggivano al pericolo di ridursi a
figurine stereotipate e a macchiette dialettali. Totò e Peppino erano
napoletani, ma non facevano i napoletani. La loro comicità oltrepassava il dialetto e la
cadenza. E Sordi? Lo era o lo faceva il romano? A me pare che il Sordi
fosse grande proprio perché la sua romanità non si
adagiava nello stereotipo e nella tipicità, ma aveva il coraggio di passare i confini della sua città, arrivando fin nel cuore dei difetti e dei
pregi d'una intera nazione. Valga fra tutti il Nando Moriconi di "Un
giorno in pretura" e di "Un americano a Roma". Nonostante la sua
parlata, era tutti noi, che fossimo di Como o che fossimo di Catanzaro. Era la
miseria e insieme la speranza d'un Paese. Era la sua gagliofferia, ma anche la
sua immagine d'un futuro, un'immagine ancora non netta, eppure forte. Ne
ridevano, i nostri padri, ma come si ride d'un sogno sognato insieme.
D'altra parte, non si può rimproverare alla maschera, Checco Zalone, la pochezza di chi in essa si rispecchia. Alla maschera, semmai, si deve rimproverare di non saper elaborare questa pochezza, di non saperle dare ali, per quanto paradossali. Insomma, Checco non è niente più che uno stereotipo: quello d'un "pugliese" tipico del tutto scontato, sullo sfondo d'un mondo di "milanesi" altrettanto tipici e scontati. È vecchio questo Checco. Viene dai cascami di un immaginario molto più vicino ai repertori di barzellette regionali che a "Un americano a Roma". Ed è molto più televisivo che cinematografico.
Non accadeva lo stesso nei film di Totò. Una macchina da presa era tutto quello che gli serviva, una macchina da presa messa a testimoniare la sua grandezza. Non gli occorreva una storia, non gli occorrevano personaggi. Aveva già la sua vitalità esplosiva e debordante come fuochi d'artificio. Come Totò oggi c'è solo Roberto Benigni, un burattino e un Pinocchio che è sempre più grande dei suoi film. "Contrabbandieri senza licenza", così Benigni chiama i comici, quelli grandi. E aggiunge che questi sovversivi hanno il potere più forte, il potere di far ridere, ma anche piangere: "Non li si può imprigionare. Non c'è verso di tenerli buoni".
Approfittano di una comicità da "contrabbandieri con tanto di licenza", di una comicità confortante e che non fa male a niente e a nessuno. Per dirla tutta, e visti i tempi, ognuno ride come sa, e come riesce.
D'altra parte, non si può rimproverare alla maschera, Checco Zalone, la pochezza di chi in essa si rispecchia. Alla maschera, semmai, si deve rimproverare di non saper elaborare questa pochezza, di non saperle dare ali, per quanto paradossali. Insomma, Checco non è niente più che uno stereotipo: quello d'un "pugliese" tipico del tutto scontato, sullo sfondo d'un mondo di "milanesi" altrettanto tipici e scontati. È vecchio questo Checco. Viene dai cascami di un immaginario molto più vicino ai repertori di barzellette regionali che a "Un americano a Roma". Ed è molto più televisivo che cinematografico.
Non accadeva lo stesso nei film di Totò. Una macchina da presa era tutto quello che gli serviva, una macchina da presa messa a testimoniare la sua grandezza. Non gli occorreva una storia, non gli occorrevano personaggi. Aveva già la sua vitalità esplosiva e debordante come fuochi d'artificio. Come Totò oggi c'è solo Roberto Benigni, un burattino e un Pinocchio che è sempre più grande dei suoi film. "Contrabbandieri senza licenza", così Benigni chiama i comici, quelli grandi. E aggiunge che questi sovversivi hanno il potere più forte, il potere di far ridere, ma anche piangere: "Non li si può imprigionare. Non c'è verso di tenerli buoni".
Approfittano di una comicità da "contrabbandieri con tanto di licenza", di una comicità confortante e che non fa male a niente e a nessuno. Per dirla tutta, e visti i tempi, ognuno ride come sa, e come riesce.
Inutile dire che il nostro cinema è ben altro, Monicelli, Magni, Antonioni, Fellini, Petri, Vittorio De Sica, Sergio Leone e soprattutto Manfredi, Tognazzi, Mastroianni, Giannini,
Sordi, Volontè. Purtroppo in Italia oggi abbiamo solo Verdone o Albanese come comici
logici apprezzati fuori confine, il resto è solo materiale da scarto come gran parte
del cinema Italiano. Sorrentino, Garrone, Tornatore, Salvatores fanno un
cinema apprezzatissimo in America e nord europa. Tuttavia non raccolgono vero
consenso in Italia. All'estero ci invidiano i nostri grandi registi e noi non sappiamo neanche chi sono ... Povera Italia. Ormai vediamo Sorrentino,Tornatore, Salvatores lavorare
sempre più con attori stranieri e sempre meno Italiani, forse hanno capito
anche loro che se hai la possibilità è meglio sparire. A volte mi sento quasi
in pena per attori come Favino e Germano che se fossero stati nord-europei
avrebbero già vinto un Oscar.
Disse Alberto Sordi: Toto' è un fenomeno noi siamo dei bravi attori ma non siamo
fenomeni , lui è il fenomeno.
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