Caro bambino
che per nove mesi hai ascoltato una voce che non sentirai mai più, che hai
mischiato il tuo sangue con quello di una donna che non ti cambierà i pannolini,
né ti leggerà le fiabe, né ti racconterà dei suoi nonni, di cui pure porterai
memoria nelle tue cellule per tutta la vita; caro bambino che non hai succhiato
il latte pronto nel seno per te, che hai dormito, scalciato, e vissuto per nove
mesi sotto il cuore di una mamma che non ti accarezzerà mai, perché è stata
pagata per sparire; caro bambino nato da un utero in affitto, ti chiedo perdono
a nome dell’umanità.
Cara madre
surrogata che per nove mesi hai sentito un bambino diventare grande tra le tue
viscere, nutrirsi di te, del tuo sangue e del tuo liquido amniotico, del tuo
respiro e della tua carne; cara madre che in un minuto sei stata separata da un
bambino forse tuo anche geneticamente, di certo tuo per il sangue e per il
cuore, chiedo anche a te perdono a nome dell’umanità, perché certo hai
accettato di fare una cosa più grande di te per necessità, prendendo pochi
spicci di quelli che tu e il tuo bambino avete messo in movimento. Se sei
ancora in tempo, ti chiedo se davvero non puoi vivere senza quei soldi, se non
c’è un altro modo per evitare tanto dolore.
Cari
genitori che certo avete tanto sofferto per il fatto di non poter avere figli
naturalmente, perché sterili o perché omosessuali, credo di poter solo
immaginare il vostro dolore per il vuoto della mancanza di un figlio, la gioia
più immensa che si possa avere. Ma proprio per il dolore che avete vissuto
dovreste soccorrere il dolore altrui, e non moltiplicarlo. Vi prego, riflettete:
i figli non sono un diritto, e anche se il vostro dolore è grande, un vuoto
accolto può diventare apertura ai bisogni degli altri in molti altri modi, come l’affido e l’adozione.
Cari medici
che vi rendete complici di questa barbarie, che trattate le donne come scatole
incubatrici e i bambini come grumi di cellule, pronti a scegliere gli embrioni
come se sfogliaste un campionario di stoffe, che maneggiate la vita e la morte
come se vi appartenessero, vi auguro di capire un giorno tutto il dolore, la
tristezza, l’errore, la confusione che avete seminato. Vi auguro di capirlo in tempo prima che la
morte che portate dentro e che vi ha avvelenati abbia su di voi l’ultima
parola, per sempre.
Care
femministe che vi battete giustamente contro ogni forma di violenza e
sfruttamento delle donne, vi chiedo di prendervi a cuore anche questa
battaglia, perché non esistono una violenza e uno sfruttamento più grandi da
infliggere a una donna, che quello di portarle via dal grembo il suo bambino.
La nostra natura, la nostra grandezza di donne sta nell’essere a custodia e
difesa della vita quando è più debole, e nessuna donna che abbia generato un
figlio può non saperlo.
Caro
Occidente che dovevi essere un faro per l’umanità tutta, e portare progresso e
benessere a tutti gli uomini, ti prego, fermati, smetti di sfruttare i poveri per
i tuoi desideri. Un figlio non è solo un irresistibile fagottino che sorride e riempie di gioia la casa. Un figlio è una persona, che ha il diritto
di avere un padre e una madre, possibilmente stabili e
conoscibili. O, se adottato, ha il diritto comunque di sapere la sua storia, e
di farci i conti. Non vediamo quanta infelicità e tristezza continuiamo a
spargere dicendo di difendere i nostri diritti? Non capiamo che quando vogliamo
essere noi a dettare le regole: la vita, la morte, la paternità e la maternità
tanto per cominciare, finiamo solo per soffrire noi e far soffrire gli altri?
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