L'amico cancro


Ciascuno di noi ha una storia da raccontare,
perchè le nostre vite sono una sceneggiatura tutta da scrivere,
come in una commedia, in un dramma o in un film.
Ogni esistenza, per quanto lunga o breve,
è un dono dato da Dio
affinché la nostra anima impari a crescere e a plasmarci.
Quando nasce una vita, generiamo un miracolo.
Quando diamo significato a quella vita,
imparando a non giudicare e cercando nei notri cuori
la giusta comprensione verso chi soffre,
allora facciamo un miracolo ancora più grande

Ettorina





IL VIAGGIO DELLA SPERANZA

Quando ho iniziato il "viaggio della speranza" ne sono entrata in punta di piedi con il terrore di essere solo un numero di una cartella clinica o una pagina sfogliata distrattamente tra le mani di uno dei tanti luminari della medicina, e con la labile speranza di non perdere la mia stessa identità. Ne sono entrata con l'angoscia e l'inquietudine di un Davide che affronta Golia e con la consapevolezza di esserne stritolata.
Dopo giornate di solitudine e di paura, quasi paralizzata di fronte alla parola "cancro" la mia vita scorreva tra letti di ospedali, interventi chirurgici e cure farmacologiche, tutti necessari nonché indispensabili che demolivano non solo il mio corpo, ma soprattutto la mia anima.
La mia vita era diventata una clessidra che il tempo rovesciava nell'inclemente danza delle ore ed io non ero che un granello di sabbia.
I canoni estetici con cui avevo convissuto con orgoglio sino a "quel giorno" non facevano più parte del mio essere donna, dovevo imparare a non essere la "bambina" fragile che si celava in me e a comprendere che la naturale bellezza che è in ognuno di noi deve essere stimolata a manifestarsi, senza inseguire i fantasmi del passato.
La realtà era come una lama sottile di un rasoio, mi sfiorava e a volte mi feriva l'anima, solo il sogno interveniva a rimarginare le ferite, ma le cicatrici inesorabilmente restavano. Vivevo ormai in una prigione di un destino ineluttabile, ma sono stata presa per mano e accompagnata in un mondo dove la malattia non mi rende più prigioniera della morte, ho imparato ad avere una percezione fisica molto più intensa ed emotivamente più accettabile. Ho imparato che la bellezza reale è un concetto più ampio che non può coincidere con la perfezione fisica, ma è la somma di quello che si è dentro.
Oggi la gente mi considera per analogia una sorta di antidoto alla sofferenza umana ed in tutti loro sento l'abbraccio di persone che ti regalano un sorriso con la gratuità di chi non si aspetta nulla in cambio.





FINE TERAPIA CHEMIOTERAPICA

Non è mai stato così difficile scrivere come in questo momento, quando due stati d'animo uguali e contrastanti si alternano in eguale misura, la gioia infinita di aver raggiunto un traguardo così sofferto e la lacerante separazione di due realtà parallele che in fondo camminano su un unico binario: la vostra impegnata con le armi della scienza e la mia impegnata a tener viva dentro me la voglia di vivere, un modo non sempre usuale di vivere il rapporto medico-paziente.
... E così, con le lacrime in tasca sto varcando la soglia della rinascita, il mio "viaggio" è terminato, ho portato sì valigie pesanti ma con dei compagni di viaggio straordinari che hanno dato un senso alla mia esistenza.
Come un equilibrista ho camminato sul filo della vita trafitta da un raggio di sole, come un clown lontano dalle scene e sola sul cuore della terra ho colorato il più cupo grigiore con i colori dell'arcobaleno.
Mi parlavate di certezze e di sicure verità, ma la vita mi aveva preso a schiaffi e violentata, da spettatrice inerme di un film già visto e dal tragico epilogo, ero ora protagonista come in un flash rivisto in moviola e mi chiedevo perché dovevo subire questa ennesima mortificazione.
Ho guardato il Cielo e davanti a me nuovi orizzonti hanno riscritto la mia storia, ho trovato una risposta nella fede, in quel Cristo crocifisso e umiliato. Dio mi aveva dato una prova da superare, ma mi aveva donato anche i mezzi per attraversarla in un suo disegno che noi non conosciamo; d'altra parte la scuola del vivere ci insegna che non si è onnipotenti e che noi riusciamo ad iniziare solo ciò che Dio è in grado di compiere.
Forse la mia fetta di felicità l'avevo già avuta e non ne ero consapevole, eravate voi che per primi volevate vedermi vivere, consentendomi così di avere una punteggiatura serena in una scrittura del quotidiano che spesso non lo è affatto.
In una società a volte spietata, vi siete messi in gioco e avete lottato con me, ed è per questo che oggi vivo l'istante valorizzandolo, sapendo che il futuro non è solo un alibi.
Assaporo ogni istante della mia vita, centellinandone ogni goccia, sperando che una goccia di memoria rimanga nei vostri ricordi.
Non esistono gli esperti dei sentimenti e non ho risposte alla mia tenacia, forse si è eroi solo quando non si fugge dal dolore e si raccolgono tutte le energie per spostare montagne, quando si lotta per cogliere come in un filtro tutta la sacralità della vita, o quando semplicemente si riesce ad avere la giusta percezione di noi stessi per non essere stelle cadenti.
Vi chiedo scusa per il tempo rubato, per le mie ansie, per le parole non dette. Ma forse anche il silenzio aveva un senso: il senso della solitudine che ti travolge, ti toglie il respiro e ti intrappola in una prigione di cristallo dove tutto è filtrato e i contatti umani hanno il privilegio di essere valorizzati all'ennesima potenza, ed è in quegli istanti che senti il desiderio di strappare un sorriso o una frase in più alle uniche persone su cui sai di poter contare. Ma non essendo né unica, né irripetibile ho rispettato tutti voi nei limiti di una logica di vita che non sfiorasse, né togliesse spazio agli altri e alla vostra vita privata.
Auspico profondamente ed intimamente che da questa mia esperienza possiate trarne linfa vitale per proseguire un cammino sereno e costruttivo.
Oggi mi sento un granello di sabbia di fronte ad un'umanità che soffre in silenzio, o solo il chicco di grano seminato che raccoglierete nell'immensità dell'ingegno e dell'intelletto umano.




PAGINE DI VITA

C'è un filo che attraversa e lega le pagine della Vita. Quel filo unisce gli occhi al cuore e ci consente di "vedere" una realtà che ai più rimane impercettibile, lontana, sfocata, invisibile, sepolta dai detriti di una umanità varia e ricca di risorse e talvolta persino di ragioni.
Il malato di "cancro" è come un fiume in piena: raccoglie tutto l'imponderabile umano.
Oggi io andrò, ma voi luminari della medicina continuerete ad avere davanti a voi un'umanità che giungerà con stati d'animo diversi, ed in ognuno di loro emergerà la propria personalità e soprattutto un universo di dolore che spesso appare come una maledizione, ma che maledizione non è se non degli uomini e delle circostanze.
Ogni giorno sarete uomini nuovi e scoprirete quanta umanità c'è nelle pagine di ogni singola tragedia umana, saranno pagine di altissima poesia umana e cristiana, e forse dovrete asciugare ancora tante lacrime, ma le lacrime non hanno prezzo e diventano dolore muto e impietrito quando una vita s'interrompe. 
Un'interminabile schiera di volti continuerà a depositare davanti a voi la loro storia, sempre unica, sempre pesante.
Vi troverete di fronte ad un fiume in piena di tragedie e di speranze, e saranno lì, tutte insieme come in un infinito vortice. Un'Umanità ferita, ripiegata, sconfitta e per molti di essi il vocabolario non porta più la parola "speranza". Vite piegate e spesso risucchiate dentro modi di pensare che ghettizzano ulteriormente e spingono verso soluzioni estreme. E là, dove si dovrebbe tirar fuori il massimo dell'equilibrio, di fermezza e di umiltà, emergono invece grossi limiti.
Quando, qualche volta, vi troverete da soli a riflettere sulle dinamiche che muovono la macchina della Sanità, ricordate sempre che non sono le parole che si scrivono nei trattati o si proclamano nei convegni o che accompagnnano le relazioni scritte nelle varie leggi che cambiano i nostri destini, ma il buon senso.
Il buon senso è il cardine della convivenza civile, una macchina che per molti versi è inceppata e che noi stiamo faticosamente oliandone gli ingranaggi.
Penserete alla lentezza delle strutture pubbliche, alla leggerezza con cui si propinano sentenze.
Penserete al modo di porsi, alle "celate verità", ai risultati raggiunti...
Quando ho pensato di farne cenno, qualcuno mi ha chiesto: - "Perché non scrive?" Scrivere è come consentire di mettere l'occhio dentro quelle coscienze, dove persone piene di attesa popolano i loro sogni di speranze e illusioni.
Mi ha sempre trattenuto dallo scrivere una forma di grande rispetto verso tutto ciò che riguarda l'individuo nel suo dolore, in quanto anello debole all'interno della nostra società.
Avevo già trascritto su dei fogli appunti di sensazioni e di eventi a cui avevo posto una sottolineatura per ricordare a mestessa che, in quel momento, loro mi avevano comunicato qualcosa, ma tutti voi mi avete dato la spinta giusta per crederci.
E se qualcosa di me è rimasto tra quelle mura, ho un unico desiderio che il termine di questo dialogo iniziato qualche tempo fa non coincidesse con la conclusione di una terapia farmacologica, ma che continuasse al di là di una scrivania e doltre una porta di un ambulatorio medico.
Ed anche se così non fosse, ricordate che non sarete mai soli se avrete rispetto delle  coscienze e che la ricchezza più grande la possedete già, è dentro di voi.


 COMPATIBILMENTE ACCETTABILE

Qualcuno mi di dice che abbia un aspetto gradevole, mi ritengo solo accettabile compatibilmente con  la mia età. Il mio aspetto potrebbe definirsi giovanile, forse perché non sono mai realmente cresciuta  nel cuore e nell’animo in quelli che sono gli aspetti classici stereotipati.
L’autostima l’ho calpestata quando ancora poteva esordire. Non mi sono mai profondamente amata, non ci si può volere bene quando i coetanei ti prendono in giro per il modo in cui si parla perché hai  l’apparecchio per i denti,  e ne piangevo di nascosto.
Ci si può volere bene ugualmente anche quando cresci e il tuo corpo, la tua femminilità è deturpata da una mastectomia.  Convivo con lei quotidianamente come fosse un valore aggiunto dell’anima.
Mi accetto valorizzando gli aspetti positivi, anche quando mi spoglio, quando sto attenta ad indossare un dettaglio non troppo intrigante. Ho imparato a gestire il mio corpo, perché la mia anima è sopra di lui. Non provo imbarazzo quando gli occhi degli estranei vogliono scorgere una differenza tra un seno e l’altro, sono bravissima a camuffarla, mi intriga la loro curiosità e quasi mi verrebbe voglia di spogliarmi, di mettere in vista il mio seno, l’unico rimasto  come fosse reduce di una battaglia.
Le cicatrici che porto sul mio corpo sono e rimarranno indelebili, e voglio che sia così sino alla fine dei miei giorni; camuffare,  stordire, manipolare quel corpo servirebbe solo a dare pace agli estranei. I miei capelli sono ricresciuti, il mio seno non lo sarà mai più, e nessuno potrà restituirmelo nemmeno l’ultima generazione delle protesi nel mercato della chirurgia plastica.
Sono fiera, sono addolorata; sono orgogliosa e sono spaventata; sono felice e sono indignata. Il mio corpo non può essere la mia anima, la mia anima non può essere il mio corpo: entrambi sono parte di me. Ha vinto la mia anima e con essa camminerò, con essa mi guarderò allo specchio quello specchio inclemente che mi sbatte in faccia  ogni giorno la verità come se non volesse farmi dimenticare.
E’ cresciuta la mia autostima, è cresciuta proporzionalmente alla perdita indotta della mia “femminilità”, si può essere donne comunque, donna nell’animo nella propensione agli altri, donna nel cuore. L’attrazione fisica è solo un elemento di istinto, il cuore è un’altra cosa.



 "GRAN CONCERTO PER LA VITA"



...C'è una spiaggetta di sassi, piccola, non bella e senza nome.
Dalle case slabbrate dal vento si affaccia ad un balcone la mia vita.
A vent'anni si ha tutto il mondo ed io ero presa in mezzo a divorarlo senza nenache prendermi il fastidio di masticare bene ogni boccone. Avevo un presente luminoso ed una freccia mi indicava quale direzione prendere per quello che allora credevo fosse il futuro.
Cresco, supero tanti ostacoli, spesso con maturità rara. La mia vita si concatena serenamente facendo incastrare amici, serate, problemi e nuove esperienze, tutto con più o meno facilità.
Poi maturo, i miei ritmi giornalieri cambiano e con essi cambio anch'io; lunghi silenzi e la voglia di sentirsi liberi, ogni azione viene eseguita con una meccanicità amaramente abituale.
Un giorno imprivvisamente il mondo crolla.
Dopo tanti giorni di vero dolore, di notti insonni, di pianti ininterrotti, seguono mesi di un dolore più silenzioso ma più logorante, con il terrore di restare sola e di soffermarmi a riflettere. Trovare un equilibrio interiore duraturo, solo ed esclusivamente con le proprie forze non è facile, è fattibile.
Io l'ho trovato perché lo dovevo a me stessa, non perché sono forte, ma perché voglio una vita prima della morte. E così trascorro la mia vita come un funambolo, su un filo teso da due parti, in quel perfetto equilibrio che alla fine ti dà come unica soddisfazione quella di averla vissuta a metà. Quella metà non mi bastava ed è perciò che ho deciso un giorno di ritagliare nella mia vita uno spazio per convogliare con saggezza le molecole bollenti che girano nell'aria, traformandole in un'azione decisa ma responsabile, generosa, pronta a mettersi a disposizione del prossimo.
Matura così l'idea di organizzare uno spettacolo che arrivi dritto al cuore della gente come un vestito cucito da un sarto, ho pensato alla musica che mi aveva accompagnata in in momenti meno felici, era sì inafferrabile, ma le sue note trasmettevano vibrazioni che arrivavano al cuore e quale mezzo di comunicazione migliore avrebbe tradotto il linguaggio umano?
Tornai a casa e cominciai a scrivere forsennatamente una frase oscura o meravigliosamente segreta che identificasse uno spettacolo di tale spessore, mi sentivo come un archeologo che disseppellisce con cautela tutti i suoi tesori per raccoglierne i più preziosi.
Ero soffocata dalla quotidianità e dagli impegni, ma ho sempre mantenuto un angolo vivo per un tuffo nel cuore della gente. A volte, per raggiungere l'biettivo finivo per impantanarmi in traguardi medi, piatti, in insuccessi a voti bassi, ma sono seviti a farmi capire molte cose e mi hanno dato la spinta per ripartire con lo spirito giusto. E così, accumulavo crediti come una bambina diligente e studiosa.
Mi sentivo come un disco volante che doveva scendere da un momento all'altro portando sulle spalle un peso e dentro un dolore, quello di aver perso contatto con al vita.
Lasciarsi andare avrebbe ingigantito anche i più piccoli problemi pratici e così pensavo ininterrottamente a tutti coloro che avrebbero apprezzato questa mia creatura e loro erano il mio ossigeno.
Per una persona ricettiva come me, che assorbe molto dall'ambiente circostante, è stato difficile ingoiare in silenzio e compostezza l'indifferenza di alcuni, ho compreso l'esigenza di altri di avere punti di riferimento, ma ho raccolto soprattutto l'entusiasmo di chi aveva capito l'importanza di un'occasione senza precedenti.
Lo sforzo maggiore era scomparire come autrice, volevo dare l'illusione che la mia storia si raccontasse da sola. Doveva essere un po' la fotografia di un'esperienza senza carte d'identità, perché quello che per gli altri era solo un sogno diventasse non solo la mia relatà, ma quella di tutti.
Non ho mai pensato di fuggire dalla realtà, e oggi che il sipario si è chiuso, le luci sono spente ed il teatro è vuoto, il mio sogno di tutti i giorni rimangono i valori semplici come gli affetti, l'amicizia, la solidarietà, la lotta all'arrivismo.






IL SOTTILE FILO DELLA VITA

Sono solo una tiepida roccia in uno stagno d’estate
quando l’alba sorride ad un uomo ferito.

Sono il flebile passo di un mendicante
che dalla tremula mano chiede uno sguardo.

Sono una pallida mattina di primavera
che incredula sorride alla rugiada.

Sono una barca che ondeggia ormeggiata
sulla riva di un mare in burrasca.

Sono la fiaba che fanciulla mi trastullava,
quando i sogni erano oceani tra granelli di sabbia.

Sono il respiro per i miei figli
quando la notte leggera li sfiora.

Sono la clessidra che il tempo rovescia
In un inclemente danzar delle ore.

Sono una scheggia sospesa ad un filo
In una tela tessuta dal fato …
Ettorina






"NOTE D'AUTORE"


Quando ci viene annunciato che la nostra vita è in pericolo,
metterci in viaggio alla ricerca di una soluzione
di qualcuno o qualcosa che possa aiutarci
è la nostra risposta istintiva.
Poi si arriva ad una visione di quel che di più profondo
questa vita ha da offrirci: la sua spiritualità.
Si arriva alla conclusione che ciò che è importante
è essere in armonia con l'universo e con se stessi,
si tratta di saper guardare il cielo e di sentirsi una nuvola.
La cura di tutte le cure è quella di cambiare se stessi
e con questa rivoluzione interiore
dare il proprio contributo alla speranza di un mondo migliore.
Se la visione del mondo si rimpicciolisce,
i nostri problemi o i nostri mali ci paiono importantissini, impensabili.
Se la visione si allarga e si riesce a vedere il mondo nella sua interezza,
il nostro stato diventa parte di quella vastità,
di quell'eterno, naturale arrovellarsi dell'uomo.
Noi non siamo solo quel che mangiamo e l'aria che respiriamo.
siamo anche le storie che abbiamo sentito,
le favole con cui ci hanno addormentati da bambini,
i libri che abbiamo letto, la musica che abbiamo ascoltato
e le emozioni che un quadro, una statua, una poesia ci hanno dato.
I miracoli esistono, ma ognuno deve essere artefice del proprio.





SE MUOIO SOPRAVVIVIMI

Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che desti la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud leva i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.
Non voglio che vacillino il tuo riso o i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità d'allegria,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi in mia assenza come in una casa.
È una casa tanto grande l'assenza
che v'entrerai traverso i muri
e appenderai i quadri all'aria.
È una casa tanto trasparente l'assenza
che senza vita ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò un'altra volta.
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-143659>










ANALFABETISMO EMOTIVO

 
In un diario di vita vissuta ricco di spazi liberi dove annotavo episodi, scampoli di conversazioni, riflessioni, progetti, ho perso il mio tempo migliore. Ho cercato di conquistare certezze, dire le cose in cui credevo e per le quali valeva la pena di vivere o morire.
L'obiettivo era consegnare una boccata d'aria buona, un messaggio di speranza alla gente. Quella gente che ieri mi considerava una sorta di antidoto alla sofferenza umana ed ed era seduta in una platea a conquistare certezze, oggi si avvicina incerta e disorientata implorandomi di frenare la folle corsa di chi, pur rimanendo per anni chiuso in un "religioso silenzio", ora si proclama paladino di una crociata innalzando un vessillo che non gli appartiene, non riconoscendo più il linguaggio delle emozioni che è spessore di qualità e sensibilità.
Questa è pura e strile competizione e la mia storia è divenuta il loro grande spettacolo.
La mia vita si è frantumata.
E a vedermi così, con le mani impastate di colla a ricomporne i pezzi, affinché non diventi una palude o un tapis-roulant su cui danzare o una bella scia di aeroplano nel cielo azzurro, ci si sente spersi, disorientati.
Magari ci si può sentire felici rimettendo insieme i pezzi di una lettera stracciata per ritrovarne il senso, ma spesso si rimane delusi e così si brancola da tutte le parti, picchiando contro tutto e tutti.
Allora ti chiedi se quelle persone in cui riponevi tutti i tuoi ideali siano reali o erano solo la proiezione di un tuo bisogno.
Vorresti che le tue parole mutino il paesaggio dell'anima di chi le ascolta, che siano impronte sulle pozzanghere, schegge, scintille di vita ma non c'è cosa al mondo più penosa come la sensazione di voler riuscire ad esprimere quello che si è e non avere il linguaggio per comunicarlo, fra le tante sensazioni deprimenti è la peggiore: una sorta di analfabetismo emotivo.
E nel flusso dei pensieri mi immagino come una bambina nel mondo degli adulti, come una riproduzione in miniatura, che si aggrappa al suo "Pensiero Felice" e insegue la famosa "Isola che non c'è" come diceva il buon Peter Pan...
Spesso mi chiedo perché il mondo debba andare così ed è questo il mio "Pensiero Infelice".
Questo mondo che imprigiona in una gabbia d'acciaio per conservare quel tesoro che inaridisce: la vita senza più bellezza, e quella vita non voglio conoscerla.
Nei primi giorni ho scelto il silenzio. Ero stordita, poi ho asciugato le lacrime e ho voltato pagina. Voltare pagina non vuol dire rimuovere i problemi o sdrammatizzarli, ma trasformarli perché non diventino sabbie mobili dell'anima. Quell'anima che oggi si è seduta sul marciapiede con la testa fra le mani e che tenta faticosamente di rialzarsi.
Quando la malattia finisce, non finisce nell'animo di chi l'ha combattuta. C'è l'immane fatica di guarire dentro e c'è chi non ce la fa, perché tutto cio che era familiare diventa assolutamente estraneo e il mondo a cui sognavi di tornare appare alieno, lontano dalla tua comprensione. A un malato di cancro nessuno mai erigerà monumenti, perché un monumento al suo ricordo non potrà mai rappresentare un mito da emulare.
Adesso che il timone è in altre mani, il regalo inatteso è la nostalgia che ogni tanto mi coglie e avverto un magnetico e sottile senso di inadeguatezza.
Tutto è troppo piatto, già conosciuto, si ripete da tempo e intristisce, e questa inquietudine se diventa sofferenza può far male.
Forse la mia era solo una perla per i poveri, o solo la carta spaiata che resta dopo aver messo a posto le altre, ma se avanza del tempo, in quel tempo che resta spaiato, ricordatevi di una storia così...come la mia.







 CHIEDO SCUSA

Chiedo scusa a tutti quelli che hanno attraversato i miei giorni, i miei passi, a tutti coloro che non ho saputo ascoltare.
Per i giorni di sole che ho perso,  per i giorni  e le ore  e i minuti che ho tolto ai  miei  figli, chiedo perdono.
Chiedo scusa alle persone alle quali mi sono sostituita inconsapevolmente.
Chiedo scusa a me stessa, al mio corpo, alla mia mente, alle notti insonni  e ai messaggi inascoltati,  mai per indifferenza o per superficialità. Se ho sbagliato perdonatemi.
Che mi perdoni il mio cuore per averlo frammentato e donato a Paolo, Enrico, Gianni, Roberto, Elisa, Maria, Simone, Adele,  Elvira, Gemma, Anna Maria, Marcello, Fabio, Carlo, Federica, Sandro e a tutti  coloro che non ho conosciuto …  
Che mi perdoni mio padre al quale ho tolto il mio e il suo tempo e i suoi ultimi giorni per dedicarli agli ultimi.
Chiedo perdono alle giornate trascorse sulle pagine di una burocrazia insulsa per sacrificarle ai miei adorati figli.
Chiedo scusa per quei pranzi frettolosi sacrificati alla famiglia nei giorni di festa, chiedo perdono per averli impiegati in uno sforzo che non hanno scelto di vivere.
Chiedo scusa per aver avuto la presunzione di rivestire un ruolo che non mi appartiene, se non nella sua estrema emotività, un ruolo a volte difficile in cui non mi riconosco se non nella sola possibilità di aiuto. Sono fragile  e nella mia fragilità ho cercato di sentirmi  forte violentando la mia stessa anima timida e introversa.
Chiedo scusa a quelle giornate che non hanno fine, a quelle sere rubate al silenzio.







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