Sul suo
computer la lettera in cui motivava il suo ultimo gesto.
L’ultimo
gesto è venuto dopo una serie di rimostranze e richieste di aiuto inascoltate.
Quattro giorni per salvare la propria vita, quella della sua famiglia. O non
gli rispondevano o gli rispondevano che non si poteva fare niente, che avrebbe
perso tutti i suoi soldi.
Luigino
D’Angelo, aveva 68 anni.
Quel che non
gli è riuscito di sapere è come riavere almeno in parte i suoi soldi. Come lui
tanti altri, centinaia, migliaia.
Hanno
salvato la sua banca, ma non hanno salvato lui. Ma non salveranno loro.
Il premier
dice di Luigino, di quelli come Luigino, che non sono stati truffati. Perché
hanno consapevolmente acquistato prodotti ad alto rischio. E penso che ci
voglia coraggio e cattiveria per dire questo che a metterla per terra ci viene
fuori una montagna che arriva al cielo. Una montagna di escrementi.
Nel
frattempo nessuno dei dirigenti della banca risulta indagato, nemmeno Pier
Luigi Boschi, che di Banca Etruria è stato vicepresidente, già multato da
Bankitalia nel novembre 2014 per: “violazioni di disposizioni sulla governance,
carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel
controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza”.
In tanti
sapevano dello stato di malattia di questa banca (così come di tante altre),
anche il padre e il fratello di Maria Elena Boschi. Avevano provato tempo fa a
dare una mano con il cosiddetto “investment compact”. Avevano fatto di
tutto.
Ed eccoci
qui: con un decreto che salva una banca ma annienta una, dieci, cento vite.
Tutto fatto in silenzio.
Di nascosto.
Come i ladri. O gli assassini.
E questa
cosa tocca anche me, noi. Perché Luigino potevo essere io, mio padre o mio
nonno
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