Siamo tutti
francesi. Sono ore
che questa frase riecheggia sui social, alla radio e alla tivù. Ovunque fossimo
la sera del 13 novembre 2015, in piazza con gli amici, sul divano, a letto,
alla notizia degli attentati a Parigi, delle vite spezzate in un venerdì
qualunque, abbiamo avvertito un tremito, un sussulto. Era il brivido dell’immedesimazione,
di quel processo emotivo che sottende la Storia, gli eventi. Era lo sgomento
per un fatto. L’incredulità
davanti a tanta violenza, a tanto dolore, a questa pagina nera,
a questo tramonto della società civile. A violenza si risponde già con
violenza, e nessuno si preoccuperà più di farlo di nascosto, di non lasciarsi
scappare la parola guerra. L’Europa è in ginocchio. Quei colpi, quelle bombe sono come esplose in
ogni città europea, anche se dimentichiamo che di innocenti ne muoiono a decine
di continuo per mano di questi pazzi assassini, anche in Oriente.
Oggi siamo tutti francesi perché abbiamo capito che siamo agnellini al macello. Che nonostante tutte le misure e le rassicurazioni, può capitare di finire nel bel mezzo di un delirio ideologico, o chissà che altro. La morte dei giornalisti di Charlie Hedbo ci aveva fatto orrore e l’avevamo catalogata come attentato alla libertà di stampa e di espressione. Il terrore della scorsa notte invece è quello che si prova a sentirsi impotenti. Impotenti nella Storia, mangiati vivi dall’insania del mondo.
Oggi siamo tutti francesi perché abbiamo capito che siamo agnellini al macello. Che nonostante tutte le misure e le rassicurazioni, può capitare di finire nel bel mezzo di un delirio ideologico, o chissà che altro. La morte dei giornalisti di Charlie Hedbo ci aveva fatto orrore e l’avevamo catalogata come attentato alla libertà di stampa e di espressione. Il terrore della scorsa notte invece è quello che si prova a sentirsi impotenti. Impotenti nella Storia, mangiati vivi dall’insania del mondo.
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