E siamo tutti lì, aggrappati ad una zattera senza identità che
naviga in un mare in tempesta, aspettando che qualcuno ci salvi mentre
anneghiamo nel mare dell’indifferenza di uno Stato che vede barconi e non
trafficanti di uomini, che vede profughi e ne ignora i clandestini, che concede
nuove identità a persone senza identità. E siamo tutti lì, con le nostre storie
appese ad un filo, ma le nostre storie vittime di una guerra senza nome non appartengono al nostro Stato, perché lo Stato ci ignora. E intanto quel mare
diventa un oceano di lacrime dove le
zattere non possono più navigare, e come relitti ogni giorno perdiamo una
parola, ogni giorno muoiamo nei pensieri annegando nella solitudine di un Stato
afono. E quelle zattere non diventeranno mai vascelli su cui salpare e non
vedremo mai rive su cui approdare, perché le nostre vite non hanno prezzo, non appartengono a nessuno. E continuiamo ad affondare con quelle zattere invisibili negli abissi
della disperazione, su quei fondali senza corone di alloro. Un giorno siamo la
madre che si getta da un balcone, un altro siamo il pensionato che si attacca
al tubo del gas, un altro siamo il disoccupato disperato che si aggrappa ad un
traliccio nell’ultimo gesto estremo, un altro siamo l’artigiano che vede
spegnersi giorno dopo giorno davanti a un palazzo chiamato Equitalia, un altro
siamo l’imprenditore che si impicca a quella corda tesa dallo Stato. E siamo
tutti lì ad attendere che qualcuno salvi
la nostra dignità, la dignità di chi ha lavorato per una vita intera e che
sulle mani ha calli come impronte digitali. E vorrei funerali di Stato per
ognuno di loro, perché loro sono vittime dello Stato caduti nell’adempimento del
loro dovere di uomini onesti.
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