La vita, maestra del nostro irrequieto vivere, ti ha insegnato a
sopportare i silenzi, il dolore, le parole che scivolano tra labbra strette.
Maestra di un vivere che spesso ti fa rimpiangere quello che hai perso in quei
giorni caldi e afosi di una stagione passata, in quegli anni che hai vissuto e
mai dimenticato. Lui, tuo padre, non aveva paura del dolore, del
silenzio, della solitudine e oggi come ieri come un DNA indistinguibile ne porti i
segni che combaciano perfettamente con i solchi della tua anima e che rimarranno
nella memoria del cuore solo per te e per chi l'ha amato.
La vita dicono sia una scuola. E' vero. Da essa hai imparato a
vivere la vita per ciò che ti ha riservato, senza illusioni, senza compromessi,
senza elemosinare amore, un abbraccio o un’ombra al tuo fianco.
E poi un giorno, un giorno di un Luglio afoso come quello di ventitré
anni fa, le ombre della notte ti hanno accompagnato nel sonno e ti sei
reso conto che era arrivato il momento di scrivere. Leggi e ti ritrovi in certe
righe, in alcuni passaggi che non fanno più male, perché quei pensieri hanno
trovato il loro luogo dove sostare, hanno trovato il loro senso in quello
scrivere di ieri nella comprensione di oggi... Parole solide, legate da
pensieri forti e coraggiosi, che ti hanno permesso di navigare nel mare reale
della vita. Hai scritto pagine che sono vele spinte dal vento forte delle
emozioni. Poi, il vento un giorno calerà, il mare tornerà piatto nella
solitudine, le pagine scritte diventeranno amiche di pensieri che si
rincorrevano nella tua mente e che qualcuno non avrà più voglia di
ascoltare.
... E quando la felicità ti sfiorerà afferrala senza paura del
dopo, del come, del perché è un dono che devi ricevere senza riserve, vivila
senza remore, perché il domani non sarà rimpianto di ciò che non è stato, ma un
bellissimo ricordo di ciò che hai vissuto.
Manfredi e Lucia Borsellino
Oggi io intervengo non per commemorare mio padre, cosa che probabilmente
molti presenti in quest'aula sanno fare e faranno meglio del sottoscritto, oggi
intervengo perché non credevo che la figlia più grande di mio padre, colei con
cui viveva in simbiosi e dialogava anche solo con lo sguardo, dopo 23 anni
dovesse vivere un calvario simile al suo e nella stessa terra che lo ha elevato
suo malgrado eroe.
Non entro, non posso entrare vista anche la mansione che ricopro e l'amministrazione cui appartengo, nel merito delle indiscrezioni giornalistiche di questi giorni, indiscrezioni che avranno turbato probabilmente molti di voi, ma vi assicuro non l'interessata, mia sorella Lucia, perché consapevole e da tempo, del clima di ostilità in cui operava e delle offese che le venivano rivolte per adempire nient'altro che al suo dovere.
Mi si lasci però dire che non sarà la veridicità o autenticità del contenuto di una singola intercettazione a impedire che i siciliani onesti, che mi sforzo a ritenere rappresentino ancora la maggioranza in questa terra disgraziata, sappiano lo scenario drammatico in cui mia sorella Lucia si è ritrovata a operare in questi anni di guida di uno dei rami più delicati dell'amministrazione regionale.
Lucia ha portato la croce fino al 30 giugno scorso, perché amava a dismisura il suo lavoro, voleva davvero una Sanità libera e felice, come diceva lei. E' rimasta per amore di giustizia, per suo padre, per poter "spalancare" le porte di un assessorato e di una Sanità intera, da sempre in Sicilia centro di interessi e malaffare, agli inquirenti, perché nessuna risultanza investigativa generata anche dal suo operato andasse dispersa.
Non so dirvi obiettivamente con quale forza mia sorella, così apparentemente fragile, abbia retto psicologicamente e tollerato ciò che noti professionisti e manager della Sanità pensavano e avrebbero detto di lei, ma so che lei è e sarà per sempre la più degna dei figli di suo padre!
Eccellenza Prefetto Pansa, dovrei oggi chiederle qui, innanzi alle più alte cariche dello Stato, di essere destinato altrove, lontano da questa terra disgraziata, ma non solo non glielo chiedo, ma le ribadisco con forza che io ho il dovere di rimanere qui, lo devo a mio padre e adesso, soprattutto, a mia sorella Lucia.
Grazie per l'attenzione che mi avete riservato.
Non entro, non posso entrare vista anche la mansione che ricopro e l'amministrazione cui appartengo, nel merito delle indiscrezioni giornalistiche di questi giorni, indiscrezioni che avranno turbato probabilmente molti di voi, ma vi assicuro non l'interessata, mia sorella Lucia, perché consapevole e da tempo, del clima di ostilità in cui operava e delle offese che le venivano rivolte per adempire nient'altro che al suo dovere.
Mi si lasci però dire che non sarà la veridicità o autenticità del contenuto di una singola intercettazione a impedire che i siciliani onesti, che mi sforzo a ritenere rappresentino ancora la maggioranza in questa terra disgraziata, sappiano lo scenario drammatico in cui mia sorella Lucia si è ritrovata a operare in questi anni di guida di uno dei rami più delicati dell'amministrazione regionale.
Lucia ha portato la croce fino al 30 giugno scorso, perché amava a dismisura il suo lavoro, voleva davvero una Sanità libera e felice, come diceva lei. E' rimasta per amore di giustizia, per suo padre, per poter "spalancare" le porte di un assessorato e di una Sanità intera, da sempre in Sicilia centro di interessi e malaffare, agli inquirenti, perché nessuna risultanza investigativa generata anche dal suo operato andasse dispersa.
Non so dirvi obiettivamente con quale forza mia sorella, così apparentemente fragile, abbia retto psicologicamente e tollerato ciò che noti professionisti e manager della Sanità pensavano e avrebbero detto di lei, ma so che lei è e sarà per sempre la più degna dei figli di suo padre!
Eccellenza Prefetto Pansa, dovrei oggi chiederle qui, innanzi alle più alte cariche dello Stato, di essere destinato altrove, lontano da questa terra disgraziata, ma non solo non glielo chiedo, ma le ribadisco con forza che io ho il dovere di rimanere qui, lo devo a mio padre e adesso, soprattutto, a mia sorella Lucia.
Grazie per l'attenzione che mi avete riservato.
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