Dopo il violento terremoto che nel 2009 ferì profondamente la città
dell’Aquila uccidendo circa 300 persone e danneggiando gravemente abitazioni,
istituti pubblici e gran parte del suo prezioso patrimonio culturale, l’incubo
che la ricostruzione finisse nelle mani di criminali e affaristi, profetizzato
e da tutti scongiurato all’indomani della tragedia, è ora una triste realtà.
Si cercavano ancora i dispersi, si contavano i danni a persone e cose, e
già si parlava di fondi per la ricostruzione e già si palesava nella coscienza
collettiva il fantasma della criminalità organizzata.
Giusto il tempo che l’attenzione dei media si spostasse altrove e che i
soldi iniziassero ad arrivare ed ecco “aziende” pagare generose tangenti agli
amministratori pubblici al fine di ottenere gli appalti sulla messa in
sicurezza degli edifici dissestati.
Ricostruzione, patrimonio, finanziamenti sono parole che storicamente e
amaramente hanno sempre fatto rima, in Italia, con corruzione, abbandono e
tangenti. Certo risulta difficile pensare che sia successo ancora una volta, e
che sia successo in tempi così recenti, in cui le parole “trasparenza” e
“legalità” risuonano sempre più spesso nel corso di cerimonie, inaugurazioni e
commemorazioni.
Di fronte alla storia che si ripete, non si può che pensare e invocare,
ancora una volta, all’art. 9 della nostra Costituzione, uno dei più belli dei
Principi Fondamentali su cui si fonda la Repubblica Italiana, ma anche uno dei
più calpestati:
«La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca
scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico
della Nazione».
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