E’ una delle vicende italiane più vergognose della
prima Repubblica, un fatto di assoluta gravità accaduto negli anni ’80 e ’90 e
che ha coinvolto un notevole numero di persone. In quel periodo diversi
cittadini si ammalarono di epatite o Aids
a seguito a trasfusioni di sangue o emoderivati infetti non
controllati dal Servizio sanitario nazionale; si parla di circa sessantamila
cittadini italiani infettati da trasfusioni di sangue.
Sangue reperito a basso costo, di provenienza illecita
e fatto entrare in Italia con il probabile benestare di diverse autorità
preposte ai controlli: a seguito di quella sconcertante storia furono in molti
a finire sul banco degli imputati in qualità di indagati tra questi anche
l'allora direttore del servizio farmaceutico Duilio Poggiolini e il ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, con capi d’accusa
vari tra i quali anche epidemia colposa.
Duilio Poggiolini
I volti di De Lorenzo e Poggiolini, da tempo, sono
scomparsi dalle cronache dei giornali. Il primo, in maniera sprezzante, veniva
definito, in piena Tangentopoli,
Sua Sanità, il secondo il boss della malasanità. Poggiolini, ancora oggi insignito
dell’onorificenza di grande ufficiale, quando venne arrestato e portato nel
carcere di Poggioreale era il
direttore del servizio farmaceutico del ministero e decideva, in accordo col
ministro, il prezzo dei farmaci. A farne le spese i cittadini onesti, le persone
malate, inconsapevoli di essere sotto una cupola che tutto controllava con lo
scopo di arricchirsi. Poggiolini venne arrestato dopo due settimane di latitanza. I giornali, in quei giorni, erano
pieni di cronache sulle mazzette, ma l’attenzione finì tutta su di lui, anche
perché gli vennero sequestrate contestualmente quantità di denaro impensabili. Ma la guardia di finanza il
tesoro lo trovò quando andò a perquisire casa Poggiolini: c’erano banconote
nascoste all’interno delle poltrone e dei divani. Banconote, ma non solo. Nella
cassaforte c’erano lingotti d’oro ed oltre ai lingotti dalla cassaforte saltarono fuori monete antiche, Ecu, medaglie, sterline, rubli,
dollari, pesos, fermacarte, accendini, penne, timbri, persino biglietti da
visita, tutto esclusivamente d'oro. Oro massiccio.
Carcere, Poggiolini, non ne fece molto. Sette mesi.
Poi venne trasferito agli arresti domiciliari. Nonostante i 45 capi d’accusa
contestati , sparì
l’associazione per delinquere e la sentenza definitiva lo condannò a 4 anni e
mezzo. Alla fine ulteriori due anni vennero cancellati dall’indulto, il resto
della pena la scontò prestando opera ai servizi sociali.
Francesco De Lorenzo
Decisamente più complessa
la figura dell’ex ministro Francesco De
Lorenzo, condannato per tangenti in via definitiva a cinque anni di
carcere. Andò a consegnarsi e disse: “Mi ritengo un prigioniero politico”. De Lorenzo veniva da una vita accademica di tutto rispetto,
studi in Italia e negli Stati Uniti, riconoscimenti
internazionali in campo scientifico, ma anche soprannominato il viceré di Napoli: per un decennio almeno fu lui
a comandare. Non c’erano sindaci, né assessori. C’era De Lorenzo, che aveva
iniziato la sua carriera politica come consigliere comunale. Nella vicenda Mani Pulite entrò in maniera
prepotente. Venne arrestato la prima volta con cento capi d’imputazione
contestati.Tra lui e Poggiolini stabilirono un singolare record: 145 capi
d’imputazione in due. Ma mentre Poggiolini ha ammesso le sue responsabilità, De
Lorenzo ha sempre negato ogni addebito, nonostante le condanne definitive.
Il “Prigioniero politico” non ha mai abbandonato la scena: prima ha lavorato alla
comunità di don Gelmini,
poi quando scoprì di essere malato fondò un’associazione di persone colpite dal
cancro. Vive a Napoli. Ma da
tempo non lo chiamano il viceré. Né sua Sanità.
Ci sono delitti commessi spudoratamente e mai puniti, perché la Giustizia non crea una sua istituzione parallela, che invece punisca
i colpevoli appurati.
Chi ha voluto scientemente denunciare la sua condizione e quella di tutti coloro che sono caduti in questa guerra non dichiarata che ha lasciato migliaia di vittime sul campo mettendoci la faccia ha fatto anche a nome nostro una denuncia politica a tutti i politici, politicanti, passati e presenti capaci solo a vendere parole che si perdono sempre al vento. I parenti delle vittime di questa strage di Stato, oltre che il rimpianto per una giustizia terrena che sembra sempre più utopia, provano indignazione, uno stato d'animo che gli italiani onesti hanno esaurito ormai da troppo tempo.
Chi ha voluto scientemente denunciare la sua condizione e quella di tutti coloro che sono caduti in questa guerra non dichiarata che ha lasciato migliaia di vittime sul campo mettendoci la faccia ha fatto anche a nome nostro una denuncia politica a tutti i politici, politicanti, passati e presenti capaci solo a vendere parole che si perdono sempre al vento. I parenti delle vittime di questa strage di Stato, oltre che il rimpianto per una giustizia terrena che sembra sempre più utopia, provano indignazione, uno stato d'animo che gli italiani onesti hanno esaurito ormai da troppo tempo.
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