Ci
sono storie che fanno male, fanno male a chi le ascolta, ma soprattutto a chi le
ricorda e le racconta, sono ferite che non si rimarginano, ma che si riaprono
sempre ad ogni immagine ad ogni parola ad ogni ricordo che le riportino a
galla. Quelle fotografie parlano e sono come fotogrammi di un film, è come se
le immagini si muovessero con una sequenza nella moviola della vita ed in
questo lento ed inesorabile destino ti senti potenziale bersaglio di
una scheggia impazzita. Sì, perché le bombe nelle stragi non scelgono,
non scelgono il tuo nome, non conoscono la tua identità, né la tua
storia. Scelgono di uccidere e basta. Diventi un pezzo
della storia oscura e maledetta di questo Paese, è come se uno scrittore
ti catapultasse nel suo romanzo e tu non ne sai niente, non conosci
la trama, lo stile, il messaggio. Sei solo un personaggio finito lì per
caso in uno dei capitoli più terrificanti della nostra storia collettiva.
E poi, inconsapevolmente diventi testimone di
un frammento di storia da raccontare ai tuoi figli, alle nuove generazioni narrando l'orrore, ma
anche la dignità di quelle vittime inconsapevoli: la "voce" di un
Paese ferito da uno degli episodi più tragici della nostra storia recente che
ancora adesso resta, almeno in sede giudiziaria, senza un mandante e senza un
perché.
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