lunedì 25 maggio 2015

Archeologia giudiziaria






È una strage silenziosa che si consuma giorno per giorno nelle aule dei tribunali. I procedimenti muoiono prima di arrivare alla sentenza e i giudici si trasformano in medici che ne certificano la morte.
Uno spettacolo avvilente che colpisce migliaia di notizie di reato.
Una situazione che è figlia di un sistema che persegue troppi reati. E non funziona bene. Risultato: molti fascicoli vengono aperti quando è troppo tardi.. Cadono in prescrizione molti illeciti commessi dai colletti bianchi, cadono in prescrizione molti reati colposi. Quelli di cui non parla nessuno ma che non sono meno devastanti, anzi umilianti, per chi li vive. Ci sono casi dolorosi come spilli che scompaiono dalle pagine di cronaca con due righe. La storia finisce in niente. La macchina giudiziaria ha girato a vuoto, ma quel che lascia sgomenti è l’atteggiamento che la giustizia ha tenuto nei confronti di famiglie già provate da terribili tragedie: nessun rispetto per il dolore. La sofferenza entra nel circuito della burocrazia e non conta più nulla.
Del resto, il nostro Paese deve fare i conti con una disciplina particolare: l’archeologia giudiziaria. Si celebrano processi per reati gravissimi avvenuti venti, venticinque, trent’anni prima. Reati che non sono prescritti ma appaiono lontanissimi. Pensiamo a stragi chiuse con una raffica di assoluzioni e che ormai appartengono ai nostri libri di storia.

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