Carlo Palermo
Sfogliando le pagine del libro dei ricordi, come un flash mi
è tornato alla mente l’attentato contro il giudice Carlo Palermo, un
episodio indelebile che lasciò esterrefatti
per la sua beffarda fatalità. Un
attentato avvenuto trent’anni fa, passato quasi sottotono nella soffitta dei
delitti minori forse perché poi a morire non è stato lo stesso giudice Palermo,
bensì una madre con due bambini, due gemellini, che attraversarono casualmente e
nello stesso istante il luogo dell’attentato con la loro auto, proteggendolo da una morte certa e
sacrificando inconsapevolmente la loro stessa vita. Il clamore dell’accaduto
non fu celebrato con le solite commemorazioni plateali, forse perché a morire
non fu lo stesso giudice Palermo. O
forse celatamente nel pensiero del comune sentire si nascondeva l’incredulità
di un errore umano per un’organizzazione che studiava nei minimi dettagli
l’anatomia di una strage. Si poteva pensare che fosse stato solo un macabro
ammonimento. Forse è così che si innescano le bombe della diffidenza e
dell’indifferenza come successe a Falcone prima di morire. Palermo non morì
quel giorno, ebbe la fortuna di sopravvivere ad un’esplosione per una frazione
di milionesimo di secondo, ma iniziò a morire un po’ al giorno sino a cedere le
armi della battaglia a soli quarantadue anni, trascorrendo i suoi giorni tra i
rimpianti ed il rimorso.
Di quell'episodio Carlo Palermo oggi conserva una penna, che
in quell'occasione aveva in tasca, che rimase completamente frantumata, e di cui ne fece ricomporre i pezzi e un vaso di mimose per ricordare il loro
profumo, avendo perso in conseguenza dell’attentato il senso dell’olfatto.
Il luogo del fallito attentato contro Carlo Palermo
Raccontare Carlo Palermo alle nuove generazioni è molto
complicato, potrebbe definirsi l’antesignano di Falcone e Borsellino. Indicare in due righe tutto il suo vissuto sarebbe riduttivo, perché la sua storia è tutta
nell'ambiente nel quale svolse l'attività di magistrato incontrando all'epoca ostacoli tra gli stessi imputati, avvocati, colleghi, criminalità, mafia, potere politico e servizi segreti.
Dopo l’attentato e proprio nel momento di maggiore necessità
lo Stato lo abbandona. Questo è solo l'ultimo capitolo di una vicenda umana e
professionale amara e penosa: a poco più di trent’anni il giudice Palermo aveva
tra le mani indagini di grande rilevanza, come quella sul traffico d'armi; a
trentacinque era uno dei magistrati più famosi, pochi mesi più tardi, isolato
da tutti, si rifugiava in un ufficio del ministero di Grazia e Giustizia per concludere la carriera dopo l'ennesima incomprensione alla pretura di Latina,
distaccato presso l'ufficio di Terracina. Sino ad essere dispensato dal
servizio per motivi di salute.
A trent’anni di distanza da quell’infausto giorno, scoprire il perché dell’attentato è diventata la ragione di vita, della seconda vita, di Carlo Palermo e di Margherita Asta, figlia di Barbara Asta e unica sopravvissuta alla tragedia.
A trent’anni di distanza da quell’infausto giorno, scoprire il perché dell’attentato è diventata la ragione di vita, della seconda vita, di Carlo Palermo e di Margherita Asta, figlia di Barbara Asta e unica sopravvissuta alla tragedia.
Due vite salvate, ma irrimediabilmente segnate dall’evento.
Due vite che si sono rincorse e scansate per decenni: la ragazzina, poi giovane
donna, che inizialmente odia l’uomo nel quale vede la causa della distruzione
della sua famiglia. Il magistrato che sopravvive a stento, ferito nel corpo e
nell’anima, con un insopportabile senso di colpa per la tragedia che ha
involontariamente causato. Lei che cerca invano di incontrarlo. Lui che non ce
la fa ad affrontarla.
E lei l’ha ritrovato inaspettatamente al suo fianco a Trapani
a una manifestazione contro la realizzazione di uno stabilimento balneare nel
luogo della strage. “Quando arriva il momento del silenzio per onorare il
vostro ricordo” scrive Margherita rivolgendosi idealmente ai suoi cari “sento
una mano che cerca la mia. Nell’istante esatto in cui torno bambina a cercare
mia madre, dentro quelle stanze piene di gente, questa volta ho trovato la mano
del giudice Carlo Palermo”. Lui stretto nel suo impermeabile e lo sguardo
triste, lei con gli occhiali da sole per nascondere le lacrime. “Un pezzo che
ritorna al suo posto dopo tanto tempo”.
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