lunedì 14 settembre 2015

Carlo Palermo, un giudice vittima di giustizia

Carlo Palermo


Sfogliando le pagine del libro dei ricordi, come un flash mi è tornato alla mente l’attentato contro il giudice Carlo Palermo, un episodio indelebile che lasciò esterrefatti  per la sua beffarda  fatalità. Un attentato avvenuto trent’anni fa, passato quasi sottotono nella soffitta dei delitti minori forse perché poi a morire non è stato lo stesso giudice Palermo, bensì una madre con due bambini, due gemellini, che attraversarono casualmente e nello stesso istante il luogo dell’attentato con la loro auto,  proteggendolo da una morte certa e sacrificando inconsapevolmente la loro stessa vita. Il clamore dell’accaduto non fu celebrato con le solite commemorazioni plateali, forse perché a morire non fu lo stesso giudice Palermo. O forse celatamente nel pensiero del comune sentire si nascondeva l’incredulità di un errore umano per un’organizzazione che studiava nei minimi dettagli l’anatomia di una strage. Si poteva pensare che fosse stato solo un macabro ammonimento. Forse è così che si innescano le bombe della diffidenza e dell’indifferenza come successe a Falcone prima di morire. Palermo non morì quel giorno, ebbe la fortuna di sopravvivere ad un’esplosione per una frazione di milionesimo di secondo, ma iniziò a morire un po’ al giorno sino a cedere le armi della battaglia a soli quarantadue anni, trascorrendo i suoi giorni tra i rimpianti ed il rimorso.
Di quell'episodio Carlo Palermo oggi conserva una penna, che in quell'occasione aveva in tasca, che rimase completamente frantumata,  e di cui ne fece ricomporre i pezzi  e un vaso di mimose per ricordare il loro profumo, avendo perso in conseguenza dell’attentato il senso dell’olfatto.

 
 Il luogo del fallito attentato contro Carlo Palermo

Raccontare Carlo Palermo alle nuove generazioni è molto complicato, potrebbe definirsi l’antesignano di Falcone e Borsellino. Indicare in due righe tutto il suo vissuto sarebbe riduttivo, perché la sua storia è tutta nell'ambiente nel quale svolse l'attività di magistrato incontrando all'epoca ostacoli tra gli stessi imputati,  avvocati, colleghi, criminalità, mafia, potere politico e servizi segreti.
Dopo l’attentato e proprio nel momento di maggiore necessità lo Stato lo abbandona. Questo è solo l'ultimo capitolo di una vicenda umana e professionale amara e penosa: a poco più di trent’anni il giudice Palermo aveva tra le mani indagini di grande rilevanza, come quella sul traffico d'armi; a trentacinque era uno dei magistrati più famosi, pochi mesi più tardi, isolato da tutti, si rifugiava in un ufficio del ministero di Grazia e Giustizia per concludere la carriera dopo l'ennesima incomprensione alla pretura di Latina, distaccato presso l'ufficio di Terracina. Sino ad essere dispensato dal servizio per motivi di salute.
A trent’anni di distanza da quell’infausto giorno, scoprire il perché dell’attentato è diventata la ragione di vita, della seconda vita, di Carlo Palermo e di Margherita Asta, figlia di Barbara Asta e unica sopravvissuta alla tragedia.
Due vite salvate, ma irrimediabilmente segnate dall’evento. Due vite che si sono rincorse e scansate per decenni: la ragazzina, poi giovane donna, che inizialmente odia l’uomo nel quale vede la causa della distruzione della sua famiglia. Il magistrato che sopravvive a stento, ferito nel corpo e nell’anima, con un insopportabile senso di colpa per la tragedia che ha involontariamente causato. Lei che cerca invano di incontrarlo. Lui che non ce la fa ad affrontarla.
E lei l’ha ritrovato inaspettatamente al suo fianco a Trapani a una manifestazione contro la realizzazione di uno stabilimento balneare nel luogo della strage. “Quando arriva il momento del silenzio per onorare il vostro ricordo” scrive Margherita rivolgendosi idealmente ai suoi cari “sento una mano che cerca la mia. Nell’istante esatto in cui torno bambina a cercare mia madre, dentro quelle stanze piene di gente, questa volta ho trovato la mano del giudice Carlo Palermo”. Lui stretto nel suo impermeabile e lo sguardo triste, lei con gli occhiali da sole per nascondere le lacrime. “Un pezzo che ritorna al suo posto dopo tanto tempo”.

Carlo Palermo e Margherita Asta


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