E vorrei che lo Stato, i responsabili
morali si siedano su quella veranda di quella casa sulle colline di una
cittadina catanese chiamata Palagonia, e vorrei che sappiano scorgere tra il
verde del boschetto e l'azzurro tenue di un lembo di mare quelle vittime inermi
di un governo latitante, che sappiano dare risposte alla mattanza perpetrata, figlia
dell’inefficienza e dell’ignavia, figlia di questi tempi senza dignità. Vorrei
che il rimorso si imprima nelle coscienze degli autori come una fotografia in
bianco e nero tatuata sulla loro pelle e gli appaia indelebilmente come l’istante
del loro addio. Quando penso a questa immagine avverto un senso di impotenza
mista a indignazione e cerco di comprenderne il significato. E nella ricerca di
dare una spiegazione emergono due sensazioni. Quella negativa d'essere in balia
nelle mani di sconosciuti che cercano di soddisfare crudeltà intrinseche nella loro
idea di “non cultura”, che vagano in balia di un governo privo di misure cautelari e colmo di spilli arrugginiti
che pungono, infettano come fossero presagi di una resistenza senza difesa. Ma
questa sensazione di negatività come vaso comunicante da un atrio all'altro del
cuore interagisce con quell’ansia di legalità orfana di mani rassicuranti che ci
ignorano nel medesimo istante in cui ci sentiamo figli di un Dio minore e
vittime di un’umanità corrotta, insudiciata dall’indifferenza.
Tra le persiane socchiuse un sottile filo
di luce dorato si posa sulle mani consumate dagli anni lasciando un pulviscolo
che ricorda la polverina di certe fiabe magiche, ma nulla di magico c’è, perché
in questa fiaba l'orco cattivo non muore e nemmeno i buoni sopravvivono.
Vincenzo e Mercedes ora li accompagna la voce di una canzone che viene da un vecchio giradischi, si confonde con i commenti che riempiono la strada nel pomeriggio di un assolato agosto, colmo di ricordi che svaniscono nella storia inalterata della nostra povera Italia senza istituzioni, né insegnamenti. Mi inchino di fronte a questi due pensionati barbaramente uccisi dopo una vita di sacrifici in una terra ormai quasi straniera o meglio irriconoscibile.
Vincenzo e Mercedes ora li accompagna la voce di una canzone che viene da un vecchio giradischi, si confonde con i commenti che riempiono la strada nel pomeriggio di un assolato agosto, colmo di ricordi che svaniscono nella storia inalterata della nostra povera Italia senza istituzioni, né insegnamenti. Mi inchino di fronte a questi due pensionati barbaramente uccisi dopo una vita di sacrifici in una terra ormai quasi straniera o meglio irriconoscibile.
E non vorrei false bandiere issate su
una terra senza più patrie, ma quel nuovo Francesco che si sedesse su quel
balcone assolato accanto alle loro anime e ricordasse all’umanità che i fiori
non vanno calpestati, perché i fiori non possono difendersi.
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