giovedì 19 maggio 2016

Pannella, il senatore della nostra vita


Marco Pannella


L’Italia e i suoi Presidenti della Repubblica, i suoi governi, i suoi primi ministri, non hanno saputo né voluto dire grazie a Marco Pannella (Giacinto), per questo ora sfilano in un fariseico corteo. Andava nominato senatore a vita, poi lui magari avrebbe rifiutato con un discorso pieno di insolenza, ma rimane comunque un atto mancato. Un'azione concreta, per dirgli grazie, non c’è stata. 
Pannella è stato molte cose sempre rimanendo se stesso, ha flirtato col potere senza averne, ha regalato perlopiù la libertà a uomini e idee, ha laicizzato il nostro Paese e cannibalizzato il suo partito (per questo riusciva a digiunare così a lungo, mangiava segretari, deputati e senatori); ma dopo Palmiro Togliatti, col quale ci fu una fitta corrispondenza, rimane l’unico vero grande maestro della politica italiana, capace di insegnare e disperdere, concettualizzare e tradirsi, immaginare e perdere, tutto insieme.
Un collettore di libertà, giuste o sbagliate, vere o false, non ha importanza, quello che conta è il risultato, su tutto, aborto e divorzio, e lui ha vinto fuori casa, con una squadra sgangherata e un mucchio di talenti allevati e spediti per altri partiti. È stato bulimico di pensieri e parole ma mai banale, ossessivo, invadente, fracassone, non guadagnandoci nulla però. Ostinandosi al non possesso, tranne che del suo Partito Radicale considerandolo una sua protesi. Per questo Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia e Jean-Paul Sartre lo scelsero, per questo Toni Negri non poteva conviverci e invece ci riuscì benissimo Enzo Tortora.

 
 Marco Pannella

Pannella oggi ci ha lasciati, regalandoci il suo mondo. Per questo voglio dirgli grazie. 
È stato un politico fiammeggiante, in mezzo a gente grigia, ferma, lui ha sempre saltato, fatto luce, una voce che disegnava strade e un corpo che le percorreva con ostinazione, senza paura, forse con qualche calcolo di strategia. Scomodo e creativo, è stato sempre avanti anticipando un mucchio di cose, fondando e lasciando giornali e tivù, quasi giocando con le sue imprese. 
La sua forza è stata proprio questa capacità di stare sul confine tra Palazzo e strada, un trapezista sul baratro che una volta, per gestire due miliardi di lire stanziate per la fame in Africa dopo una grande campagna, si offrì come sottosegretario agli Esteri dell’allora ministro Giulio Andreotti, ci pensate? Ovviamente Andreotti scelse altro, credo un socialista, per ragioni di opportunità ed equilibro, ma Pannella con Andreotti agli Esteri sarebbe stata la coppia d’attacco più bella mai vista, non si fece ma rimane un romanzo da scrivere.
La sua spalla politica è stata Emma Bonino, capace di smarcarsi senza abbandonarlo, di resistere senza mai sopraffarlo, di sopportarlo mille volte e venendo sopportata mille e una volta, una coppia di fatto che ha sempre puntato a obiettivi affascinanti, disegnando orizzonti troppo ampi per un piccolo paese come l’Italia. A volte è sembrato un pirata, uno tipo Samuel Bellamy, che con una nave sola in mare muoveva verso chi ne aveva cento; a volte è apparso collodiano, un grillo cresciuto, divenuto un gigante, che stava sopra il Palazzo, inascoltato, ululando alla luna o digiunando in tivù; a volte è apparso come un Manuel Fantoni che si muoveva tra uomini, donne, droga e dissidenti; a volte è stato sul punto di essere ministro, presidente, ambasciatore, direttore, mai veramente; altre volte c’è chi giura di averlo anche visto persino fermo. Wojtyla lo accarezzò, il Dalai Lama rise molto, Craxi latitante lo usò come confessore e sponda.
Dietro ogni sua sigaretta c’era un programma politico, per ogni boccata la costruzione di qualcosa, e non per l’arabesca aleatorietà prodotta in Radio Radicale o nelle milioni di discussioni, ma perché l’uomo era complicato, anche quando fischiettava, o si metteva a tagliare giudizi con l’accetta. 


 
 Marco Pannella

Così, all’annuncio della malattia sembrò che smettesse, costretto, e crebbe il gelo, l’amarezza per tutti noi che lo guardavamo fumare e urlare, fumare e strafare.
Ma poi tornò a rassicurarci con i toscani, e qualche manciata di Marlboro. Il fumo faceva parte del suo lessico, scandiva la sequenza delle frasi, assicurava il ritmo e stemperava l’impulso prima del definitivo attacco. Quando Filippo Ceccarelli, anni fa, gli chiese della morte e dei suoi funerali, lui rispose prima da quasi buddista e poi da Pannella.
Sulla morte disse: «la vita è eterna, quando uno muore, miliardi di atomi se ne vanno nell’aria, come miliardi di pensieri, muore chi ha paura di morire. Io spero di accoglierla con grande famigliarità, spero che in un qualsiasi momento, soprattutto la notte, quella arrivi e io possa darle il benvenuto, felice di trovarmi così, ehi, vieni, vieni qui». E per i funerali: «Magari, per fregarvi, non li rendo nemmeno pubblici. Bisognerà vedere se per il partito sono convenienti o no. Il partito è per me una ragione oggettiva di vita. La mia vita dopo tutto è la storia del partito e come coautori ha i compagni, i radicali ignoti. Io sono una persona comune e qui sta il segreto della durata».
Francesco De Gregori nel “Signor Hood”, cantava a proposito di Marco Pannella: «un galantuomo / sempre ispirato dal sole / con due pistole caricate a salve / e un canestro di parole». 
Uomo sandwich, uomo delle carceri e dei digiuni, della pace e dei dibattiti, opportunità per sentirsi fighi, giusti o per recuperare posizioni e credibilità; a guardare le sue foto, la sua agilità, sembra eternamente giovane, persino ora che non c'è più, ha fregato pure Dorian Gray in ego e narcisismo.
Ma ormai è troppo tardi perché gli venga riconosciuto il ruolo da protagonista, da padre della patria senza mai averlo chiesto, vivendo l’«onorevole mendicità dei chierici vaganti» arrivando a fare del suo partito una famiglia, un mondo con quale palleggiare, fumando s’intende. Ha sempre dato l’impressione di avvertire un oscuro, profondo, piacere nel perdere, quasi che ogni volta – PCI, DC, PSI o Forza Italia e PD – fosse oltre, proprio perché sconfitto, escluso, e, infatti, il giorno dopo era di nuovo sulle barricate a sventolare la bandiera di qualche diritto mancante, mentre i vincitori apparecchiavano. 



Ciao Marco

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