Don Gallo
Ero in una chiesina lì al porto a pregare:
«Mio Dio, mio Dio, non mi far morire democristiano!»
Mi ha accontentato!
Dopo un po’ mi dissero che c’era il cosiddetto CAF,
Craxi-Andreotti-Forlani, e allora pregavo:
«Mio Dio, mio Dio, non mi far morire caffiano»;
dopo un po’ spunta anche il cavaliere,
e gridavo ancora più forte:
«Mio Dio, mio Dio non mi far morire berlusconiano!»
Poi è arrivato Prodi …e poi ...
Adesso cosa dico al padre eterno?
Gli dico che abbiamo proprio
una serie di situazioni corrotte da tutte le parti.
«Mio Dio, mio Dio, non mi far morire democristiano!»
Mi ha accontentato!
Dopo un po’ mi dissero che c’era il cosiddetto CAF,
Craxi-Andreotti-Forlani, e allora pregavo:
«Mio Dio, mio Dio, non mi far morire caffiano»;
dopo un po’ spunta anche il cavaliere,
e gridavo ancora più forte:
«Mio Dio, mio Dio non mi far morire berlusconiano!»
Poi è arrivato Prodi …e poi ...
Adesso cosa dico al padre eterno?
Gli dico che abbiamo proprio
una serie di situazioni corrotte da tutte le parti.
Vorrei con tutto il cuore che la mia
amata Chiesa cattolica,
della quale sono presbitero da oltre cinquant’anni,
non volesse mai avere un “posto speciale” nella storia.
Essa è sale, è lievito, è chicco di grano.
Non ha nulla da spartire con il Potere.
Gesù non ha scelto il Palazzo,
ha scelto di nascere in una mangiatoia.
della quale sono presbitero da oltre cinquant’anni,
non volesse mai avere un “posto speciale” nella storia.
Essa è sale, è lievito, è chicco di grano.
Non ha nulla da spartire con il Potere.
Gesù non ha scelto il Palazzo,
ha scelto di nascere in una mangiatoia.
Don Gallo con Adriano Celentano
Caro Gesù, aiutaci a ottenere un’obiettiva radiografia
della nostra classe politica.
Mediamente essa è incolta, disinformata e intimorita,
soprattutto sulla scelta della pace. [...]
È arrogante e debole nell’affrontare il problema dell’informazione,
del lavoro, delle pensioni, dei giovani, del sociale.
È specialista in tagli,
convinta di rispondere a una cittadinanza
e a un elettorato incapace di intendere e volere.
della nostra classe politica.
Mediamente essa è incolta, disinformata e intimorita,
soprattutto sulla scelta della pace. [...]
È arrogante e debole nell’affrontare il problema dell’informazione,
del lavoro, delle pensioni, dei giovani, del sociale.
È specialista in tagli,
convinta di rispondere a una cittadinanza
e a un elettorato incapace di intendere e volere.
Don Gallo con un'immagine di Fabrizio De André
La
loro Genova ha unito i loro destini, le loro storie si sono incrociate per
sempre nell'attenzione verso gli ultimi e gli emarginati. Don Gallo il prete di
strada che si è fatto conoscere durante tutta la sua vita per l'impegno verso
le condizioni umane dei disagiati e degli ultimi, dei dimenticati e Fabrizio De
André, hanno condiviso tra le vie di Genova il racconto del mondo.
Lo
hanno raccontato e testimoniato allo stesso modo. L'uno attraverso il Vangelo,
l'altro attraverso la musica. Ai tempi dei liceo, Faber era l'alunno del cugino
di Don Gallo, Giacomino Piana, che insegnava religione. Don Gallo invece si era
insediato come viceparroco nella chiesa della Madonna del Carmine, a una
cinquantina di metri dalla famosa Via del Campo, divenuta poi celebre negli
accordi di De André.
Nel
diciassettesimo anniversario della morte di Faber, questa lettera scritta da
Don Gallo racconta, parola dopo parola, l'essenza dell'amico e cantautore
italiano, ricordandone la profonda vicinanza verso l'umanità intera e gli
insegnamenti scaturiti dalla sua "antologia dell'amore"
Don Gallo
di don Andrea Gallo, Genova, 14 gennaio 1999
Caro Faber,
da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.
Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione.
E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.
Abbiamo riscoperto tutta la tua «antologia dell’amore», una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l’aspirazione alla libertà.
E soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti.
Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi, restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza.
La Comunità di san Benedetto ha aperto una porta in città. Nel 1971, mentre ascoltavamo il tuo album, Tutti morimmo a stento, in Comunità bussavano tanti personaggi derelitti e abbandonati: impiccati, migranti, tossicomani, suicidi, adolescenti traviate, bimbi impazziti per l’esplosione atomica.
Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente (che era ed è la nostra vita quotidiana) abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, alla solitudine può seguire l’amore, come a ogni inverno segue la primavera [«Ma tu che vai, ma tu rimani / anche la neve morirà domani / l’amore ancora ci passerà vicino / nella stagione del biancospino», da L’amore, ndr].
È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro «occhi troppo belli», la mia Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli.
Caro Faber, grazie!
Ti abbiamo lasciato cantando Storia di un impiegato, Canzone di Maggio. Ci sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi.
Caro Faber, parli all'uomo, amando l’uomo. Stringi la mano al cuore e svegli il
dubbio che Dio esista.da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.
Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione.
E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.
Abbiamo riscoperto tutta la tua «antologia dell’amore», una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l’aspirazione alla libertà.
E soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti.
Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi, restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza.
La Comunità di san Benedetto ha aperto una porta in città. Nel 1971, mentre ascoltavamo il tuo album, Tutti morimmo a stento, in Comunità bussavano tanti personaggi derelitti e abbandonati: impiccati, migranti, tossicomani, suicidi, adolescenti traviate, bimbi impazziti per l’esplosione atomica.
Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente (che era ed è la nostra vita quotidiana) abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, alla solitudine può seguire l’amore, come a ogni inverno segue la primavera [«Ma tu che vai, ma tu rimani / anche la neve morirà domani / l’amore ancora ci passerà vicino / nella stagione del biancospino», da L’amore, ndr].
È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro «occhi troppo belli», la mia Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli.
Caro Faber, grazie!
Ti abbiamo lasciato cantando Storia di un impiegato, Canzone di Maggio. Ci sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi.
Grazie.
Le ragazze e i ragazzi con don Andrea Gallo,
prete da marciapiede.
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