L’inno di
Mameli non è stato scritto per essere scimmiottato in uno stadio nel giorno in
cui nove italiani sono stati barbaramente massacrati. Lo
cantavano i ragazzi che andavano a morire per l’amor di Patria e per difendere
l’Italia dall’invasore austriaco. Non ce l’ho proprio fatta ad accendere la tv
e sentire quell’inno, vedere uno stadio pieno di gente con la mano destra sul
cuore e con la sinistra tenere una trombetta per strombazzare in caso di
vittoria. Non è quella la mia Italia.
L’ultima volta che ho visto la mia
Italia orgogliosa di cantare quell’inno di Mameli è stato il giorno dei
funerali dei ragazzi di Nassiriya. Ricordo che siamo rimasti ordinatamente in
fila per intere giornate per rendere omaggio al Vittoriano a quei ragazzi,
morti per un attentato terroristico. Ricordo i pub che chiudevano per rispetto,
tanti ragazzi e ragazze mollare tutto, prendere il tricolore e mettersi in
fila anche per 10 ore. In questi ultimi anni però, qualcosa è cambiato, ci
stiamo abituando agli attentati e li stiamo normalizzando nella nostra mente.
Preferiamo pensare ad altro, girare la testa dall’altra parte.
Siam pronti
alla morte, l’Italia chiamò.
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