martedì 5 luglio 2016

Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò



L’inno di Mameli non è stato scritto per essere scimmiottato in uno stadio nel giorno in cui nove italiani sono stati barbaramente massacrati. Lo cantavano i ragazzi che andavano a morire per l’amor di Patria e per difendere l’Italia dall’invasore austriaco. Non ce l’ho proprio fatta ad accendere la tv e sentire quell’inno, vedere uno stadio pieno di gente con la mano destra sul cuore e con la sinistra tenere una trombetta per strombazzare in caso di vittoria. Non è quella la mia Italia.
L’ultima volta che ho visto la mia Italia orgogliosa di cantare quell’inno di Mameli è stato il giorno dei funerali dei ragazzi di Nassiriya. Ricordo che siamo rimasti ordinatamente in fila per intere giornate per rendere omaggio al Vittoriano a quei ragazzi, morti per un attentato terroristico. Ricordo i pub che chiudevano per rispetto, tanti ragazzi e ragazze mollare tutto, prendere il tricolore e mettersi in fila anche per 10 ore. In questi ultimi anni però, qualcosa è cambiato, ci stiamo abituando agli attentati e li stiamo normalizzando nella nostra mente. Preferiamo pensare ad altro, girare la testa dall’altra parte.

Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò.

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