Stanno preparando il vestito buono per la festa. Avranno passato la notte a lustrarsi le piume.
Ed oggi, l’uno dopo l’altro, con una faccia che definire di bronzo è un eufemismo, correranno da una parte all’altra della penisola cercando i riflettori della tivù, il microfono dei giornalisti, inondandoci della loro vomitevole retorica in ogni angolo della rete; loro, tutti loro, gli assassini di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta, saranno proprio quelli che ne celebreranno la memoria. Firmandola. Sottoscrivendola.
Faranno a gara per raccontarci come combattere ciò che loro proteggono. Spiegheranno l’immensa eredità di un magistrato coraggioso; loro, proprio loro che ne hanno trafugato il testamento, alterato la firma, prodotto un perdurante falso ideologico che ha consentito ai loro partiti di rinverdire i fasti di un eterno potere. Li vedremo tutti in fila, schierati come i santi.
Ci sarà addirittura chi verserà qualche calda lacrima, a suggello e firma dell’ipocrisia di Stato, di quel trasformismo vigliacco e indomabile che ha costruito nei decenni la mala pianta del cinismo e dell’indifferenza, l’humus naturale dal quale tutte le mafie attive traggono i profitti delle loro azioni criminali.
Oggi, uccideranno ancora Giovanni Falcone, sua moglie e la sua scorta.
Ed oggi, l’uno dopo l’altro, con una faccia che definire di bronzo è un eufemismo, correranno da una parte all’altra della penisola cercando i riflettori della tivù, il microfono dei giornalisti, inondandoci della loro vomitevole retorica in ogni angolo della rete; loro, tutti loro, gli assassini di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta, saranno proprio quelli che ne celebreranno la memoria. Firmandola. Sottoscrivendola.
Faranno a gara per raccontarci come combattere ciò che loro proteggono. Spiegheranno l’immensa eredità di un magistrato coraggioso; loro, proprio loro che ne hanno trafugato il testamento, alterato la firma, prodotto un perdurante falso ideologico che ha consentito ai loro partiti di rinverdire i fasti di un eterno potere. Li vedremo tutti in fila, schierati come i santi.
Ci sarà addirittura chi verserà qualche calda lacrima, a suggello e firma dell’ipocrisia di Stato, di quel trasformismo vigliacco e indomabile che ha costruito nei decenni la mala pianta del cinismo e dell’indifferenza, l’humus naturale dal quale tutte le mafie attive traggono i profitti delle loro azioni criminali.
Oggi, uccideranno ancora Giovanni Falcone, sua moglie e la sua scorta.
Oggi, uccideranno ancora Paolo Borsellino e la sua scorta.
E io non voglio farne parte.
Seguitano a ucciderlo, ogni giorno, nella società civile e in parlamento.
Per questo vogliono museizzarlo, trasformandolo in una specie di santino da usare ad ogni buona occasione. Perché sono proprio loro gli eterni assassini, questa è la verità, altrimenti non ci ritroveremmo, più di venti anni dopo, nella stessa identica situazione di allora.
Oggi, vestiti a festa, faranno a gara a chi lo commemora e piange di più.
Tutti i funzionari pubblici della Repubblica, anche quelli del più piccolo e povero comune, tutti quelli che hanno preso tangenti privilegiando l’interesse personale a quello del bene pubblico, sono quelli che seguitano ogni giorno ad assassinare Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, sua moglie e gli agenti della scorta.
Quelli che hanno reso vana e vacua la loro morte.
Non voglio vedere le loro facce ipocrite.
Sono decine di milioni gli assassini. Perché la mafia non è una persona, non è una cosa astratta.
La mafia è un’idea dell’esistenza. La mafia è una interpretazione della vita.
L’intera classe politica di questo Paese, intellettuale, mediatica, imprenditoriale, partecipò al processo di delegittimazione di Giovanni Falcone isolandolo, diffamandolo, e voltandosi dall’altra parte quando sapevano che stavano arrivando i killer.
Così come fecero poi con Paolo Borsellino e con tutti coloro che ebbero l’ardire di armarsi di coraggio e combattere contro la mafia attiva.
Le stesse persone che allora scelsero di non guardare, oggi sono in prima fila a commemorarne la scomparsa. Sono tutti loro i veri assassini.
Io non li voglio né vedere né ascoltare.
Seguitano a ucciderlo, ogni giorno, nella società civile e in parlamento.
Per questo vogliono museizzarlo, trasformandolo in una specie di santino da usare ad ogni buona occasione. Perché sono proprio loro gli eterni assassini, questa è la verità, altrimenti non ci ritroveremmo, più di venti anni dopo, nella stessa identica situazione di allora.
Oggi, vestiti a festa, faranno a gara a chi lo commemora e piange di più.
Tutti i funzionari pubblici della Repubblica, anche quelli del più piccolo e povero comune, tutti quelli che hanno preso tangenti privilegiando l’interesse personale a quello del bene pubblico, sono quelli che seguitano ogni giorno ad assassinare Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, sua moglie e gli agenti della scorta.
Quelli che hanno reso vana e vacua la loro morte.
Non voglio vedere le loro facce ipocrite.
Sono decine di milioni gli assassini. Perché la mafia non è una persona, non è una cosa astratta.
La mafia è un’idea dell’esistenza. La mafia è una interpretazione della vita.
L’intera classe politica di questo Paese, intellettuale, mediatica, imprenditoriale, partecipò al processo di delegittimazione di Giovanni Falcone isolandolo, diffamandolo, e voltandosi dall’altra parte quando sapevano che stavano arrivando i killer.
Così come fecero poi con Paolo Borsellino e con tutti coloro che ebbero l’ardire di armarsi di coraggio e combattere contro la mafia attiva.
Le stesse persone che allora scelsero di non guardare, oggi sono in prima fila a commemorarne la scomparsa. Sono tutti loro i veri assassini.
Io non li voglio né vedere né ascoltare.
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