venerdì 17 agosto 2018

Noi siamo Samuele



Mi chiamo Samuele, avrei compiuto nove anni fra pochi mesi se fossi ancora vivo. Alla vigilia di Ferragosto, sul ponte di Genova, mentre ci stavamo recando in Sardegna dai miei nonni, un ponte di cemento si è sbriciolato e come una bomba è esploso tra case, auto e persone. 
Io sono morto insieme a mamma e papà, ma loro non mi hanno lasciato solo sotto quel viadotto, mi hanno abbracciato forte, anzi fortissimo. 
Gli addetti ai soccorsi hanno ritrovato la nostra auto proprio sui binari della ferrovia stracolma di bagagli. Tra un ombrellone avvolto ancora nel cellophane, secchielli e palette, c'era anche un cellulare sul cruscotto che squillava senza sosta, era mia nonna che tentava di mettersi in contatto con mamma, purtroppo senza riuscirci. 
Un amico del mio papà ha riconosciuto il mio pallone coperto dalla polvere delle macerie e ha capito che il vuoto che si era aperto sul ponte ci aveva inghiottito.
Certo è che noi eravamo felici, ma indifesi. 
Mi hanno detto che i profitti ci buttano giù dai ponti, che siamo carne da telegiornale, ma io sono ancora troppo piccolo e non mi permetto di giudicare.
Prima di chiudere gli occhi mi sono raggomitolato tra le braccia dei miei genitori per cercare conforto e ho pensato: “Ma è davvero così brutto questo mondo che sto già per lasciare?” Poi mi sono sentito sollevare e sulla nuvola da cui vi scrivo ho visto che la bellezza c’è ancora. C’è bellezza nel camionista che ha cercato di salvarmi e nel vigile del fuoco che mi ha trovato: è importante essere riconosciuti, avere un nome, significa che sei esistito davvero! 
E ora che non ci sono più vorrei che altri innocenti non muoiano più sotto ponti di cartapesta, solo così non sarò morto invano. 
Mi chiamo Samuele, e ci sono ancora...

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