martedì 18 dicembre 2018

Quindici anni con il cancro, e non sentirli...


Quindici anni fa in questo stesso istante stavo per uscire da una asettica sala operatoria. 
Il mio cancro venne a trovarmi una sera di dicembre mentre tutti erano pronti ad addobbare alberi natalizi e ad allestire presepi, fu il mio inatteso “regalo” di Natale.
Io e il cancro siamo stati compagni inseparabili, penso uno dei compagni più fedeli che la vita ti metta al tuo fianco.
Insieme abbiamo mangiato, dormito, lui mi osservava mentre baciavo i miei figli, li accompagnavo a scuola, lavoravo, mentre piangevo disperata, mentre andavo al mare. Sì, andavo al mare perché lui, l'intruso, non avrebbe voluto, ma io “trucco e parrucco” non mi arrendevo, ero più forte di lui.
Dopo dieci anni le nostre strade si divisero, la medicina aveva proclamato la sua sconfitta, vivevamo come due separati in casa. Io ero consapevole della sua esistenza e lui della mia, ma ci ignoravamo come due amanti ormai al capolinea.
Mi aveva lasciato cicatrici profonde nel corpo e nell’anima, non avrei mai potuto dimenticarlo del tutto.
Lui mi aveva vista piangere, esultare, soffocare dal dolore. Mi accompagnava come un amico fedele a tutti follow up, insieme ascoltavamo i responsi dei medici, insieme leggevamo i referti. Sentiva che il ticchettio del mio cuore si faceva sempre più pressante, ma non gli interessava nulla, sapeva che non l’avrei potuto abbandonare.
Dopo dieci anni di separazione "consensuale", e a tre anni di distanza dalla proclamata guarigione, in un pomeriggio di giugno tornò ancora più spietato di prima, come quegli amanti che non si rassegnano ad una separazione.
Venne a cercarmi un giorno in cui il cielo si dipingeva dei colori della bandiera italiana. Lo riconobbi subito, aveva le stesse sembianze. Mi sorrise con quel ghigno che solo una iena sa fare, lo guardai, piansi, ma non mi arresi.
Lo sfidai con le armi che la medicina mi offriva, non gli mostrai mai il mio strazio, speravo che anche stavolta avrebbe avuto pietà di me, che mi avrebbe regalato ancora qualche giorno in più da vivere.
Come la prima volta volle infliggere sul mio corpo l’ennesima cicatrice, sembrava un amante geloso che affonda il coltello per ferirti, ti lascia agonizzante, ma non ti uccide. Come in un macabro rituale.
Rientrò nella mia vita sfidandomi, ma non cedetti alle sue lusinghe, lo affrontai a muso duro e lo annientai con i mezzi che la medicina mi offriva. 
Nel "mio" Day Hospital Oncologico dove continuo a fare il miei follow-up, mi dicono che sono simpatica, che sdrammatizzo sempre... sinceramente non mi spaventa la morte, perché ho imparato a conoscerla tanti anni fa e mi sembra così umana da non farmi più paura. 
Ogni volta che sono triste ripenso a quei giorni e i pensieri sembrano diradarsi, divenire meno cupi. Questa esperienza mi ha lasciato un grande insegnamento, che la vita è unica ed irripetibile e abbiamo il dovere di viverla sino in fondo non dando mai nulla per scontato! 

sabato 15 dicembre 2018

Il vento oltre il mare e la terra


Con il senno di poi si costruiranno processi, ma al banco degli imputati nessuna condanna restituirà quelle vite.
Penso a Valter inghiottito con la sua auto da una strada divenuta improvvisamente carta velina in una domenica di un plumbeo novembre. Al suo amico Vincenzo, riuscito miracolosamente a salvarsi e che rimarrà segnato per tutta la vita da un ricordo indelebile fatto di amicizia e di dolore. Penso a Ilaria, la ragazza che per evitare di sprofondare nell'enorme cratere si è buttata fuori strada con la sua auto. Quel cratere che ha sconvolto la sua giovane vita e che la accompagnerà per il resto dei suoi giorni.
E penso che un evento così avrebbe potuto causare conseguenze irreparabili su quel tratto di strada percorso ogni giorno da migliaia di veicoli. 
E poi ripenso a quel triste lunedì di neanche un mese fa, a questo nostro territorio devastato e messo in ginocchio da un tornado. E penso a Nunzio, a Giuseppina, a tutte le persone rimaste senza un tetto.
E poi penso ai vigili del fuoco, alla protezione civile, a tutti i volontari che si sono prodigati per rendere meno pesanti questi giorni difficili da comprendere, penso a Serafino che ci ha lasciati dopo aver compiuto la sua missione di uomo e di volontario.
Penso ai soccorritori che scavano ancora tra le macerie di quella voragine, in quel fiume di fango e detriti e penso che dovrebbero avere un plauso da chiunque li incontri sulla propria strada.
Ho sempre preferito una divisa da vigile del fuoco ad uno smoking pronto a far bella mostra di sé nelle cerimonie e che non ha neanche un lembo di stoffa degli "angeli dei soccorsi".
Guardo quel pezzo di vuoto tra un lembo di strada e l’altra, osservo le terribili immagini e la vicinanza di ognuno di noi è tangibile, in qualsiasi modo la si provi ad esprimere. Le parole sembrano intrappolate nella gola, ma la forza sta nel sentire l’eco che producono attraversando altre strade, e per una strada che crolla si prova con discrezione e rispetto a costruirne un’altra di solidarietà.
La voragine sulla Pontina è l’ennesima dimostrazione che questo Paese ha bisogno di infrastrutture e investimenti. Di quanti morti ci sarà ancora bisogno perché lo si comprenda? 
Una voragine come questa significa una cosa semplice: che la strada era malata, ma nessuno l'ha curata.

















venerdì 17 agosto 2018

Noi siamo Samuele



Mi chiamo Samuele, avrei compiuto nove anni fra pochi mesi se fossi ancora vivo. Alla vigilia di Ferragosto, sul ponte di Genova, mentre ci stavamo recando in Sardegna dai miei nonni, un ponte di cemento si è sbriciolato e come una bomba è esploso tra case, auto e persone. 
Io sono morto insieme a mamma e papà, ma loro non mi hanno lasciato solo sotto quel viadotto, mi hanno abbracciato forte, anzi fortissimo. 
Gli addetti ai soccorsi hanno ritrovato la nostra auto proprio sui binari della ferrovia stracolma di bagagli. Tra un ombrellone avvolto ancora nel cellophane, secchielli e palette, c'era anche un cellulare sul cruscotto che squillava senza sosta, era mia nonna che tentava di mettersi in contatto con mamma, purtroppo senza riuscirci. 
Un amico del mio papà ha riconosciuto il mio pallone coperto dalla polvere delle macerie e ha capito che il vuoto che si era aperto sul ponte ci aveva inghiottito.
Certo è che noi eravamo felici, ma indifesi. 
Mi hanno detto che i profitti ci buttano giù dai ponti, che siamo carne da telegiornale, ma io sono ancora troppo piccolo e non mi permetto di giudicare.
Prima di chiudere gli occhi mi sono raggomitolato tra le braccia dei miei genitori per cercare conforto e ho pensato: “Ma è davvero così brutto questo mondo che sto già per lasciare?” Poi mi sono sentito sollevare e sulla nuvola da cui vi scrivo ho visto che la bellezza c’è ancora. C’è bellezza nel camionista che ha cercato di salvarmi e nel vigile del fuoco che mi ha trovato: è importante essere riconosciuti, avere un nome, significa che sei esistito davvero! 
E ora che non ci sono più vorrei che altri innocenti non muoiano più sotto ponti di cartapesta, solo così non sarò morto invano. 
Mi chiamo Samuele, e ci sono ancora...

mercoledì 9 maggio 2018

Quarant'anni senza Aldo Moro




"...chiedo che ai miei funerali non partecipino né Autorità dello Stato, né uomini di partito. Chiedo di essere seguito dai pochi che mi hanno veramente voluto bene e sono degni perciò di accompagnarmi con la loro preghiera e con il loro amore."

Aldo Moro

venerdì 30 marzo 2018

Frizzi, la tenerezza


La signora di ottantotto anni che piange perché deve salutare Fabrizio Frizzi e dice: "Io sono sola e cenavo sempre con lui".
La tenerezza vera che stringe il cuore e raccoglie in poche parole, in quel volto commosso, tutto.


mercoledì 14 febbraio 2018

San Valentino


Io, il mio San Valentino lo voglio dedicare alle "DONNE" che sono morte per la mano di un "uomo", credendo nell'amore. 🌹