domenica 7 giugno 2020

St.Patrick (La sedia sospesa)



(St.Patrick)


Con un giro di chiave si chiude uno spaccato di vita cesellato tra gli angoli più suggestivi del nostro Centro Storico, il St.Patrick.
Ricordo ancora le pareti bianche, essenziali, ricoperte da un manto di seta dove le macchine fotografiche di Massimo erano le uniche protagoniste, loro, capaci di emozionare sempre.
Ivana, che con una raffinatezza unica e inimitabile ha decantato il tempo e i calici con il nettare caro a Bacco, arredando luoghi ed angoli di sapori che intrecciavano ricordi e passioni dimenticate. Mi ha insegnato a sorridere alla vita, alla bellezza, alle persone che rischiavo di non vedere mai più, all’amore che ho custodito nell’anima, alla semplicità delle parole e a tutto ciò che avrei potuto ancora scoprire.
Quante pagine sfogliate nell’album della memoria posto all’ingresso. Parole sussurrate sottovoce che avrebbero preso forma tra le righe scritte come un mood di sottofondo.
Quante storie avranno incontrato per le strade e lasciato all’imbrunire di ogni giorno, quanti gli ospiti invitati a raccogliere emozioni e che spontaneamente trovavano casa, tra le fessure di muretti, tra sassi che ora giacciono tra i pensieri e che segnano il ricordo dentro le pagine di un nuovo libro, tra melodie di un sound sempre ricercato e avvolgente.
La fotografia per Massimo come la cucina per Ivana non erano solo una passione, era l’arte che si esprimeva nei momenti di creatività. Così hanno costruito la dispensa delle loro felicità, dove c’erano le torte, le marmellate, i dolci preferiti dai clienti, i loro sorrisi, i sacrifici di una vita messi sottovuoto, la musica che ci hanno dedicato ed i quadri che ci hanno fatto sognare.
Loro non offrivano solo cibo, offrivano esperienza, offrivano sorrisi, abbracci, offrivano serenità, spensieratezza, uno stato d’animo.
Il loro era un mestiere difficile, fatto di sacrifici e rinunce, ma era il mestiere che hanno scelto e amato, un amore che ha sorvolato cieli e navigato mari con l’audacia e la tenacia di chi ha creduto nella loro peculiare capacità, un’enogastronomia di elezione.
Non tutti sanno cosa c’è dietro a questo amore e non possiamo pretendere che lo si comprenda.
E mentre il mondo riprende la sua corsa, mi sono fermata ad osservare la gente e ho capito che le persone migliori sono come quelle abbiamo conservato nelle cornici della nostra memoria e loro fanno parte di essa.
Le luci del St.Patrick si sono spente e in un archivio infinito di immagini ho ritrovato questa foto ed ho letto la loro storia... quella sedia sospesa nel tempo come le nostre vite ed ho capito che è sempre in una giornata qualunque che accadono cose indimenticabili.

Ad Ivana e Massimo Masci 

@Ettorina

venerdì 4 ottobre 2019

San Francesco



Dedicata ai dimenticati, a quelli che hanno tasche vuote in cappotti pesanti e si ritrovano orfani alla fine dei loro giorni, all'ombra di una cecità emotiva. Dedicata ai maestri di vita che scivolano via senza rumore, a quelli che brillano dietro l’espressione dell’anima e finiscono ingoiati dalla comune grettezza. Dedicata a chi  non ha più battiti regolari e si perde nei ricordi su un candido foglio, in un fazzoletto intriso di gocce di vento e di memorie ferite. 

Dedicata a chi non lascia in eredità moneta, ma emozioni che sappiano volare alte senza ali. 

giovedì 4 luglio 2019

Una monetina per Charlot



E’ fin troppo semplice dimenticare la musica che accompagna una breve villeggiatura al mare; quella che ti segue dal bar all'ombrellone, dal passeggio pre-serale dei bicchieroni colorati alle auto-concerto che sfrecciano fino a notte tarda. Ritmo e musica che per lo più ambiscono al rito della macro aggregazione, dal quale mi sento così lontano, ma senza dubbio efficace alla vendita di un qualsiasi prodotto.
Niente a che vedere con la melodia che mi accompagna nella strada buia verso il viale alberato, e che, sempre più nitida, assorbe tutta la mia attenzione. Le ombre sembrano tornare protagoniste tra le note delicate e intime, mentre di fronte si materializza una figura scura che beneficia di una luccicante vetrina per bimbi.
Ora la melodia trova piena collocazione nei miei ricordi più lontani, delle calde sere di Natale, quando i buoni sentimenti e i toni polverosi del bianco e nero erano inconfondibili vestiti del cinema di Charlie Chaplin.
Le persone transitano per lo più distratte, qualcuno accenna a un sorriso, un gruppetto di giovanissimi irride senza complimenti questa figura a mio avviso così poetica, ma che, nel mio immaginario, sembra pronta a muoversi, anzi di più, nell’imminenza di una grottesca sortita a base di calci e di una inaspettata agilità, non violente, ma chiarificatrici.
Mi avvicino con mia figlia e porgo la monetina, cercando le poche parole giuste da sospirare allo sguardo curioso di lei. Lui risponde dolcemente, con formidabile mimica. Mi sento toccato nelle corde a me più care, quelle fotografiche ad esempio, tanto che chiedo di poter usare la mia fedele compatta. La risposta è una chicca di eleganza e compartecipazione da vedere e rivedere, e così il commiato. Mi allontano ma seguo con lo sguardo la sua invidiabile staticità, con un filo di malinconia, pensando che quella volta a Montmartre il suo collega non era stato così bravo.


(Foto e testo di Michele Ciavarella)

venerdì 22 marzo 2019

Sono presente nell'essenza



Ti ho cercato tra la gente, nel profumo del vento, tra le pieghe delle giacche, tra i cappotti mai indossati, nella cravatte colorate. Ti ho cercato nei fiori di campo che raccoglievi, nelle violette che mettevi nel taschino la domenica mattina, nei colori della primavera, nel profumo di salsedine d’estate, nella musica che adoravi. 
Ti ho cercato nella fragranza di un dopobarba, nello scampanellio di una bici, in una ventiquattrore, nelle fotografie stropicciate tenute in un portafoglio, ti ho cercato tra la gente, ma nessuno ti somigliava e così ti ho riposto tra i ricordi. 
Ti ho messo nel cassetto della memoria, tra le tue penne, i tuoi vinili, i tuoi dipinti, le tue foto, le tue poesie e nell’anello che mi regalasti per i miei diciott’anni e che indosso sempre prima di uscire, sai? Lo metto tutti i giorni e lo metto su un vestito magari inadeguato o nelle tasche di un ricordo quando l'anima ha troppo freddo.
Un giorno fosti tu a cercarmi dicendomi “Io sono presente nell’essenza” ed io dolcemente mi riaddormentai…




martedì 18 dicembre 2018

Quindici anni con il cancro, e non sentirli...


Quindici anni fa in questo stesso istante stavo per uscire da una asettica sala operatoria. 
Il mio cancro venne a trovarmi una sera di dicembre mentre tutti erano pronti ad addobbare alberi natalizi e ad allestire presepi, fu il mio inatteso “regalo” di Natale.
Io e il cancro siamo stati compagni inseparabili, penso uno dei compagni più fedeli che la vita ti metta al tuo fianco.
Insieme abbiamo mangiato, dormito, lui mi osservava mentre baciavo i miei figli, li accompagnavo a scuola, lavoravo, mentre piangevo disperata, mentre andavo al mare. Sì, andavo al mare perché lui, l'intruso, non avrebbe voluto, ma io “trucco e parrucco” non mi arrendevo, ero più forte di lui.
Dopo dieci anni le nostre strade si divisero, la medicina aveva proclamato la sua sconfitta, vivevamo come due separati in casa. Io ero consapevole della sua esistenza e lui della mia, ma ci ignoravamo come due amanti ormai al capolinea.
Mi aveva lasciato cicatrici profonde nel corpo e nell’anima, non avrei mai potuto dimenticarlo del tutto.
Lui mi aveva vista piangere, esultare, soffocare dal dolore. Mi accompagnava come un amico fedele a tutti follow up, insieme ascoltavamo i responsi dei medici, insieme leggevamo i referti. Sentiva che il ticchettio del mio cuore si faceva sempre più pressante, ma non gli interessava nulla, sapeva che non l’avrei potuto abbandonare.
Dopo dieci anni di separazione "consensuale", e a tre anni di distanza dalla proclamata guarigione, in un pomeriggio di giugno tornò ancora più spietato di prima, come quegli amanti che non si rassegnano ad una separazione.
Venne a cercarmi un giorno in cui il cielo si dipingeva dei colori della bandiera italiana. Lo riconobbi subito, aveva le stesse sembianze. Mi sorrise con quel ghigno che solo una iena sa fare, lo guardai, piansi, ma non mi arresi.
Lo sfidai con le armi che la medicina mi offriva, non gli mostrai mai il mio strazio, speravo che anche stavolta avrebbe avuto pietà di me, che mi avrebbe regalato ancora qualche giorno in più da vivere.
Come la prima volta volle infliggere sul mio corpo l’ennesima cicatrice, sembrava un amante geloso che affonda il coltello per ferirti, ti lascia agonizzante, ma non ti uccide. Come in un macabro rituale.
Rientrò nella mia vita sfidandomi, ma non cedetti alle sue lusinghe, lo affrontai a muso duro e lo annientai con i mezzi che la medicina mi offriva. 
Nel "mio" Day Hospital Oncologico dove continuo a fare il miei follow-up, mi dicono che sono simpatica, che sdrammatizzo sempre... sinceramente non mi spaventa la morte, perché ho imparato a conoscerla tanti anni fa e mi sembra così umana da non farmi più paura. 
Ogni volta che sono triste ripenso a quei giorni e i pensieri sembrano diradarsi, divenire meno cupi. Questa esperienza mi ha lasciato un grande insegnamento, che la vita è unica ed irripetibile e abbiamo il dovere di viverla sino in fondo non dando mai nulla per scontato! 

sabato 15 dicembre 2018

Il vento oltre il mare e la terra


Con il senno di poi si costruiranno processi, ma al banco degli imputati nessuna condanna restituirà quelle vite.
Penso a Valter inghiottito con la sua auto da una strada divenuta improvvisamente carta velina in una domenica di un plumbeo novembre. Al suo amico Vincenzo, riuscito miracolosamente a salvarsi e che rimarrà segnato per tutta la vita da un ricordo indelebile fatto di amicizia e di dolore. Penso a Ilaria, la ragazza che per evitare di sprofondare nell'enorme cratere si è buttata fuori strada con la sua auto. Quel cratere che ha sconvolto la sua giovane vita e che la accompagnerà per il resto dei suoi giorni.
E penso che un evento così avrebbe potuto causare conseguenze irreparabili su quel tratto di strada percorso ogni giorno da migliaia di veicoli. 
E poi ripenso a quel triste lunedì di neanche un mese fa, a questo nostro territorio devastato e messo in ginocchio da un tornado. E penso a Nunzio, a Giuseppina, a tutte le persone rimaste senza un tetto.
E poi penso ai vigili del fuoco, alla protezione civile, a tutti i volontari che si sono prodigati per rendere meno pesanti questi giorni difficili da comprendere, penso a Serafino che ci ha lasciati dopo aver compiuto la sua missione di uomo e di volontario.
Penso ai soccorritori che scavano ancora tra le macerie di quella voragine, in quel fiume di fango e detriti e penso che dovrebbero avere un plauso da chiunque li incontri sulla propria strada.
Ho sempre preferito una divisa da vigile del fuoco ad uno smoking pronto a far bella mostra di sé nelle cerimonie e che non ha neanche un lembo di stoffa degli "angeli dei soccorsi".
Guardo quel pezzo di vuoto tra un lembo di strada e l’altra, osservo le terribili immagini e la vicinanza di ognuno di noi è tangibile, in qualsiasi modo la si provi ad esprimere. Le parole sembrano intrappolate nella gola, ma la forza sta nel sentire l’eco che producono attraversando altre strade, e per una strada che crolla si prova con discrezione e rispetto a costruirne un’altra di solidarietà.
La voragine sulla Pontina è l’ennesima dimostrazione che questo Paese ha bisogno di infrastrutture e investimenti. Di quanti morti ci sarà ancora bisogno perché lo si comprenda? 
Una voragine come questa significa una cosa semplice: che la strada era malata, ma nessuno l'ha curata.

















venerdì 17 agosto 2018

Noi siamo Samuele



Mi chiamo Samuele, avrei compiuto nove anni fra pochi mesi se fossi ancora vivo. Alla vigilia di Ferragosto, sul ponte di Genova, mentre ci stavamo recando in Sardegna dai miei nonni, un ponte di cemento si è sbriciolato e come una bomba è esploso tra case, auto e persone. 
Io sono morto insieme a mamma e papà, ma loro non mi hanno lasciato solo sotto quel viadotto, mi hanno abbracciato forte, anzi fortissimo. 
Gli addetti ai soccorsi hanno ritrovato la nostra auto proprio sui binari della ferrovia stracolma di bagagli. Tra un ombrellone avvolto ancora nel cellophane, secchielli e palette, c'era anche un cellulare sul cruscotto che squillava senza sosta, era mia nonna che tentava di mettersi in contatto con mamma, purtroppo senza riuscirci. 
Un amico del mio papà ha riconosciuto il mio pallone coperto dalla polvere delle macerie e ha capito che il vuoto che si era aperto sul ponte ci aveva inghiottito.
Certo è che noi eravamo felici, ma indifesi. 
Mi hanno detto che i profitti ci buttano giù dai ponti, che siamo carne da telegiornale, ma io sono ancora troppo piccolo e non mi permetto di giudicare.
Prima di chiudere gli occhi mi sono raggomitolato tra le braccia dei miei genitori per cercare conforto e ho pensato: “Ma è davvero così brutto questo mondo che sto già per lasciare?” Poi mi sono sentito sollevare e sulla nuvola da cui vi scrivo ho visto che la bellezza c’è ancora. C’è bellezza nel camionista che ha cercato di salvarmi e nel vigile del fuoco che mi ha trovato: è importante essere riconosciuti, avere un nome, significa che sei esistito davvero! 
E ora che non ci sono più vorrei che altri innocenti non muoiano più sotto ponti di cartapesta, solo così non sarò morto invano. 
Mi chiamo Samuele, e ci sono ancora...