mercoledì 31 maggio 2017

TOTTI... insieme



Grazie Roma, grazie a mamma e papà, grazie a mio fratello, ai miei parenti, ai miei amici. Grazie a mia moglie e ai miei tre figli. Ho voluto iniziare dalla fine, dai saluti, perché non so se riuscirò a leggere queste poche righe. È impossibile raccontare ventotto anni di storia in poche frasi. 




Mi piacerebbe farlo con una canzone o una poesia, ma io non sono capace di scriverle e ho cercato, in questi anni, di esprimermi attraverso i miei piedi, con i quali mi viene tutto più semplice, sin da bambino. A proposito, sapete quale era il mio giocattolo preferito? Il pallone ovviamente! Lo è ancora. Ma a un certo punto della vita si diventa grandi, così mi hanno detto e cosi il tempo ha deciso.  




Maledetto tempo. È lo stesso tempo che quel 17 giugno 2001 avremmo voluto passasse in fretta: non vedevamo l’ora di sentire l’arbitro fischiare tre volte. Mi viene ancora la pelle d’oca a ripensarci. Oggi questo tempo è venuto a bussare sulla mia spalla dicendomi: “Dobbiamo crescere, da domani sarai grande, levati i pantaloncini e gli scarpini, perché tu da oggi sei un uomo e non potrai più sentire l’odore dell’erba così da vicino, il sole in faccia mentre corri verso la porta avversaria, l’adrenalina che ti consuma e la soddisfazione di esultare”.  




Mi sono chiesto in questi mesi perché mi stiano svegliando da questo sogno. Avete presente quando siete bambini e state sognando qualcosa di bello… e vostra madre vi sveglia per andare a scuola mentre voi volete continuare a dormire…e provate a riprendere il filo di quella storia ma non ci si riesce mai… Stavolta non era un sogno ma la realtà.  




E adesso non posso più riprenderlo, il filo. Io voglio dedicare questa lettera a tutti voi, ai bambini che hanno tifato per me, a quelli di ieri che ormai sono cresciuti e forse sono diventati padri e a quelli di oggi che magari gridano “Tottigol”. Mi piace pensare che la mia carriera diventi per voi una favola da raccontare. Ora è finita veramente. Mi levo la maglia per l’ultima volta. La piego per bene anche se non sono pronto a dire basta e forse non lo sarò mai.  




Scusatemi se in questo periodo non ho rilasciato interviste e chiarito i miei pensieri, ma spegnere la luce non è facile. Adesso ho paura. E non è la stessa che si prova di fronte alla porta quando devi segnare un calcio di rigore. Questa volta non posso vedere attraverso i buchi della rete cosa ci sarà “dopo”. Concedetemi un po’ di paura. Questa volta sono io che ho bisogno di voi e del vostro calore, quello che mi avete sempre dimostrato. Con il vostro affetto riuscirò a voltare pagina e a buttarmi in una nuova avventura. 




Ora è il momento di ringraziare tutti i compagni di squadra, i tecnici, i dirigenti, i presidenti, tutte le persone che hanno lavorato accanto a me in questi anni. I tifosi e la Curva Sud, un riferimento per noi romani e romanisti. Nascere romani e romanisti è un privilegio, fare il capitano di questa squadra è stato un onore. Siete e sarete sempre la mia vita: smetterò di emozionarvi con i piedi ma il mio cuore sarà sempre lì con voi. Ora scendo le scale, entro nello spogliatoio che mi ha accolto che ero un bambino e che lascio adesso, che sono un uomo. 




Sono orgoglioso e felice di avervi dato ventotto anni di amore. 




Vi amo. 


lunedì 22 maggio 2017

Le vite in una fotografia

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino


Ogni fotografia ha una vita. Ogni fotografia ha una storia. Ogni fotografia conserva in sé una memoria. E se ha una vita ha anche un giorno in cui è nata e quel giorno è il suo compleanno.
E siccome per un fotografo le fotografie sono come dei figli, delle creature a cui resti legato per sempre, proprio per questo non dimenticherà mai la loro data di nascita. Quando le ha scattate, dove, perché e la vita che hanno vissuto. A volte questi ricordi vanno oltre la semplice memoria visiva ma coinvolgono anche gli altri sensi. Le immagini possono possedere anche odori, suoni, parole.
Oggi è il compleanno di una mia fotografia, ma non un semplice compleanno, un quarto di secolo, una data tonda, importante che non è possibile dimenticare o far passare inosservata. 25 anni di vita in cui è stata consegnata, come fa uno staffettista con il testimone, da generazione in generazione. Dai nonni ai nipoti nelle famiglie, da professori a studenti nelle scuole. Un flusso continuo che dal 27 marzo del 1992 ha percorso ininterrottamente l’Italia. L’Italia che ha deciso di ribellarsi alla mafia, di abbandonare la cultura mafiosa di seguire l’esempio della legalità.
L’italia che ha adottato, come fossero amici di famiglia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
E’ un venerdì pomeriggio di fine marzo e dal Giornale di Sicilia arriva la richiesta di un servizio su un incontro in cui si parlerà di “Mafia e Politica”. Un avvenimento non molto interessante dal punto di vista visivo ma ci sono personaggi importanti, che mi interessa fotografare per il mio archivio, perché sono personaggi di cui si parla molto sui giornali nazionali e allora come a volte succede può venir fuori una bella foto, interessante e che potrei usare al di là dell’assegnato di quella sera. Arrivo con il solito anticipo e comincio a fare qualche fotografia ai vari relatori e agli ospiti, anche essi di tutto rispetto. Poco dopo comincia la discussione, ma Giovanni Falcone non è ancora arrivato e tra i vari bisbiglii che emergono tra l’illustre platea non manca qualche appunto critico nei confronti del “solito Giovanni”. Ad un certo punto arriva il “ritardatario”, saluta i suoi compagni di tavolo, e si accomoda accanto al suo vero amico Paolo Borsellino.


Giovanni Falcone e Paolo Borsellino


Prima un intervento poi un altro e la discussione va avanti regolarmente sui temi prestabiliti e io, non avendo altro posto possibile, mi piazzo ad un lato del tavolo dei relatori e attendo, ascolto e attendo. Dovrà succedere qualcosa, almeno lo spero, un gesto, un’azione, qualcosa che mi consenta di realizzare un bel ritratto in barba alla monotonia tipica dei convegni.
Ad un tratto quel qualcosa che avevo sperato succede, Falcone e Borsellino si avvicinano, Giovanni dice qualcosa a Paolo, sicuramente non parlano dei temi del dibattito, deve essere una battuta ma non ho tempo per capire; devo avvicinarmi, devo mettermi davanti a loro, inquadrare, mettere a fuoco e scattare. In quel preciso istante, un 60esimo di secondo della mia Nikon F3 si materializza una foto, un sorriso, una spontaneità, una rilassatezza, una complicità, un senso di amicizia che mai mi era successo di vedere prima tra questi due uomini. La foto è veramente bella e se n’è accorta anche una signora seduta in prima fila, la moglie di un altro magistrato collega di Giovanni e Paolo, che nel momento in cui esplode il lampo del mio flash dice compiaciuta “che bella foto avrà fatto quel fotografo”. Forse era vero ma io ancora non lo sapevo, perché il digitale ancora non c’era e per essere sicuro sarei dovuto andare in camera oscura a sviluppare il rullino.


Giovanni Falcone e Paolo Borsellino


Quella signora aveva proprio ragione, la foto era bella, era comunicativa e composta bene pronta per essere pubblicata. In realtà piacque molto anche al redattore capo il quale, appena la vide disse, “bella foto Tony, la useremo sicuramente, ma non questa sera. Oggi usiamo quest’altra. Mettila in archivio, vedrai che nei prossimi giorni la useremo”.
E questo ho fatto, io giovanissimo fotografo a colloquio con un esperto e bravo redattore capo prendo alla lettera il suo consiglio e conservo in archivio la bella foto.
A volte le fotografie hanno destini strani, inimmaginabili. A volte nascono, poi muoiono e poi rinascono. La mia fotografia di Giovanni e Paolo ha avuto tante vite.
La prima vita è quella che ricordo oggi, il suo compleanno, il giorno in cui è stata impressionata per sempre sull’argento della mia pellicola.
Poi rimane al buio di un classificatore del mio archivio ma solo per poco tempo perché il 23 maggio, 57 giorni dopo averla scattata, la mafia aziona il telecomando che fa saltare in aria l’autostrada uccidendo Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della loro scorta. Pochissimi giorni dopo, sollecitato dal mio collega e amico Mike Palazzotto, nonostante fossimo impegnatissimi in quelle giornate frenetiche, rimetto le mani nell’archivio e recupero i negativi di quella fotografia. Ne stampo alcune copie e le spedisco all’agenzia Sintesi, che a quei tempi distribuiva le mie foto per la stampa nazionale ed internazionale. Loro, come si faceva una volta, prendono le stampe e le portano in giro per diversi quotidiani e settimanali i quali, anch’essi colpiti per la particolarità della fotografia, l’acquistano e la conservano nei loro archivi. Questa è la seconda vita.
La terza vita arriva curiosamente ancora 57 giorni dopo, ovvero il 19 luglio. Un altro telecomando aziona il tritolo che uccide Paolo Borsellino e la sua scorta. Quando alcuni giornali nazionali cercano nel loro archivio una foto di Borsellino trovano quella, la foto dei due amici uccisi da cosa nostra. “La foto”, l’immagine che racchiude in sé la sintesi quasi perfetta di ciò che la mafia aveva fatto in meno di due mesi, e la pubblicano.
Da questo momento in poi diventa un susseguirsi di pubblicazioni, di fotocopie, di manifesti, di magliette, di lenzuoli portati dalla gente durante le manifestazioni, nei cortei, nelle catene umane. Ma anche manifesti affissi e poi strappati nelle strade strette di Corleone. La fotografia prende vita e si trasforma in memoria collettiva, suggestioni, pensieri, condivisioni, fino a diventare icona.



Oggi quella fotografia celebra il suo compleanno.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

(Tony Gentile - Fotografo)

martedì 16 maggio 2017

I miei non sono spigoli


Adesso devo scrivere. Perché funziona così. 
Mi aggrappo all'unica cosa che mi tiene saldata in terra. È solo quando te ne vai, che capisci davvero quanto sei stata importante per gli altri. Come quelle conquiste che hanno tutto un sapore diverso, perché sai che le hai raggiunte solo con le tue forze. 

I miei non sono spigoli. Sono cicatrici incise con precisione chirurgica. 
Alle volte il destino è quella cosa che ti sbuca davanti e non sai cosa rispondergli. Ma i fogli sono luoghi troppo deboli per reggere certe storie e allora il destino te le scrive sulla pelle.